L’origine di tale parola doveva essere ben nota al celebre e celebrato regista svedese Ingmar Bergman se così ha intitolato la sua opera stilisticamente più sperimentale, l’omonimo film Persona, appunto, uscito nel 1966, che rappresenta il dramma dell’attrice Elisabeth Vogler, cui presta anima e volto Liv Ullmann, la più amata musa del regista, la quale, durante la rappresentazione teatrale dell’Elettra, si blocca improvvisamente chiudendosi in un ostinato mutismo che sarà poi l’incipit di tutta la tormentatissima storia.
L’etimologia più accreditata, infatti – sia quella che la crede derivare direttamente dall’etrusca phersu, maschera dell’attore, che procede a sua volta dal greco πρóσωπον [prósôpon], sia quella invece che propende per la derivazione latina dal nome della maschera teatrale personar (suonare attraverso), indossata sempre sulla scena dagli attori, dai tratti sempre eccessivi e dalla bocca modellata in modo da “far risuonare” (ut personaret) la voce nella vastità degli antichi teatri greci e romani – riportano al teatro, alla maschera, al personaggio.
Sfogliando il dizionario italiano, come primo lemma troviamo come definizione di persona «l’individuo umano in quanto oggetto di considerazione o di determinazione nell’ambito delle funzioni e dei rapporti nella vita sociale» e, se questo potrebbe indurci ad evincere che essa «si possa quasi vedere meglio dall’esterno», come da una platea teatrale o che per sentirsi “persona” occorra addirittura indossare una maschera, invece in ambito filosofico, il primo significato della parola sembra portarci alla conclusione opposta. Si definisce persona, infatti, un essere dotato, almeno potenzialmente, di coscienza di sé e di possesso di una propria identità indipendente quindi dal punto di osservazione.
Fu il filosofo stoico greco Panezio (185-109 a.C.) il primo autore a trasferire il termine persona dall’utilizzo comune di maschera teatrale all’ambito filosofico. Di origine e sentimenti aristocratici e convinto che le diversità tra gli uomini fossero determinate dalle circostanze ambientali, sostenne che l’uomo non portasse sulla “scena” della vita la sola maschera (prosopon) generica dell’essere umano, ma anche quella che caratterizzava la propria individualità fin dalla nascita, alla quale, successivamente, se ne aggiungevano altre due: una terza determinata dalle vicissitudini della vita e una quarta caratterizzata dalla sua attività lavorativa. (Duemila anni dopo, la moderna psicologia, passando per le infinite diatribe tra Innatisti e Ambientalisti giungerà più o meno alle stesse attuali considerazioni). Secondo il filologo tedesco Max Polhenz «Per la prima volta qui si da riconoscimento etico alla personalità individuale», concetto questo che Cicerone riprenderà dal mondo greco di Panezio per elaborarlo e trasferirlo nel mondo latino.
Essenziale la nozione di persona in teologia, nella formulazione delle due più centrali verità di fede cristiana: la Trinità (Dio è uno ma in tre Persone) e l’incarnazione del Verbo in Gesù (due nature, divina e umana in una sola Persona, la Seconda della Trinità, il Figlio o Verbo). Per secoli, i teologi Boezio (importante la sua definizione di persona come «naturae rationalis individua substantia», sostanza individuale di natura razionale), Damasceno, Tommaso da Aquino, hanno sviscerato la questione teologica in tutti i suoi aspetti. Tertulliano infine, tentando di spiegare in termini comprensibile il dogma della Trinità con l’espressione «Dio è un’unica sostanza in tre Persone», evidenzia la nozione di persona come relazione all’interno di Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e quindi in relazione con gli uomini. Per analogia tra il Creatore e la creatura, il termine persona risulta infine così applicabile all’uomo stesso.
Dopo secoli, ancora oggi il concetto di persona ci riguarda prepotentemente nell’attuale dibattito sulla bioetica. In particolare si è fatto urgente il tentativo di dare risposte a domande del genere: è persona un embrione? Quando comincia ad esserlo? È persona ancora chi si trova in stato di morte cerebrale? Tematiche aperte nelle quali spesso è facile il fraintendimento e l’incomprensione, proprio perché è dato per implicito un certo modo di intendere la persona e perché si parte da modi di pensare e ideologie diametralmente opposte.
L’autore che in questi anni si è distinto per le posizioni più forti è certamente Il filosofo australiano Peter Singer che nel suo Liberazione animale, e nel saggio Killing Humans and Killing Animals propone una riformulazione rivoluzionaria: se si intende la persona non come centro di atti, ma come sostanza in grado di rappresentare se stessa esistente nel tempo, da questa definizione bisognerebbe dedurre che persona possono essere certamente un cane e una tigre, ma non ancora un neonato, per esempio, allargando così i diritti della persona in un campo interspecifico, cioè verso altre specie animali diverse da quella umana. Temi forti, quindi quelli sulla persona che vedono opporsi partiti, fazioni politiche, religiose e civili.
Nel linguaggio giuridico, con il termine persona si indica in generale il soggetto di diritto, titolare di diritti e obblighi, investito dalla necessaria capacità giuridica e all’interno di essa si distingue tra “persona fisica”, che viene ad essere all’atto della nascita e si estingue al momento della morte, e “persona giuridica”, che è invece quell’organismo unitario, caratterizzato da una pluralità di individui o da un complesso di beni, al quale viene riconosciuta dal diritto la capacità di agire in vista di scopi leciti e determinati.
In linguistica la persona è una categoria grammaticale, indica il ruolo o la posizione di qualcosa o qualcuno rispetto a chi sta parlando. Gioca un ruolo fondamentale nella coniugazione, fa un po’ la primadonna: prima, seconda, terza, singolare o plurale e da lì tutto il resto a seguire, accordandosi ad essa senza possibilità di scelta.
In senso figurato può giungere ad un valore iperbolico, quando è riferita a caratteristiche tanto marcate da personificare quasi una determinata attitudine caratteriale : «Sei la bontà in persona», «È la cattiveria fatta persona».
Nel linguaggio corrente, accompagnata spesso da un aggettivo qualificativo, più comunemente positivo, basta da sola a definirci la natura umana di qualcuno: «Una brava persona», giudizio lapidario – letteralmente: quante lapidi nel mondo avranno incisa questa epigrafe? – sufficiente a dare una valutazione su un’esistenza intera e ad aprirci l’animo ad una fiducia incondizionata. Accompagnata a un aggettivo negativo è invece una condanna irrevocabile: «Una brutta persona».
Alla larga.