LA PAROLA

Indifferenza

Diceva don Andrea Gallo: «L’indifferenza è l’ottavo vizio capitale». C’è molto di vero in quel pensiero: Andrea era un prete di strada, abituato a stare vicino al dolore, a convivere con gli ultimi, a portar loro una parola di conforto. A fare.

L’indifferenza è simile, quasi sinonimo, della banalità del male. Si passa davanti ad una sofferenza e non ci si ferma, si continua la strada senza un pensiero. Si vede un’ingiustizia ma non ci si intromette, si vede un forte soverchiare un debole e sembra non sia affar nostro. Sembra tutto normale, e solo a tratti ci ricordiamo degli altri. Ma facciamo soprattutto attenzione al nostro benessere, al nostro egoismo, al nostro tornaconto.

È brutta sporca cattiva l’indifferenza. È il contrario dell’amore, molto peggio dell’odio perché ne diamo sempre una giustificazione. Ci diciamo: perché devo intervenire? Cosa c’entro? Che cosa ci guadagno? Meglio che se la risolvano tra loro …

Non è come ci dice il dizionario: in filosofia, stato tranquillo dell’animo che, di fronte a un oggetto, non prova per esso desiderio né repulsione; o che, di fronte all’esigenza di una decisione volontaria, non propende più per l’uno che per l’altro termine di un’alternativa. Nell’ascetica, è lo stato (necessario al conseguimento della vita perfetta) in cui si rinuncia a ogni scelta finché non si conosca la volontà di Dio per uniformarsi completamente ad essa. Nell’uso comune, spesso con tono di biasimo, condizione e comportamento di chi, in determinata circostanza o per abitudine, non mostra interessamento, simpatia, partecipazione affettiva. In economia curve che rappresentano graficamente le scelte possibili fra azioni economiche capaci di recare al soggetto soddisfazione equivalente, e quindi perfettamente sostituibili l’una all’altra …

L’indifferenza è una brutta bestia, quella che ha assistito indifferente al nascere del nazismo e del fascismo, addirittura quella che fa dire a qualcuno: non tutto è stato negativo in quel periodo. Ma scherziamo? Se ci fosse stata meno indifferenza, se la gente fosse partecipe, generosa, differente, tutti staremmo meglio.

Ormai siamo indifferenti a ciò che succede di tremendo nei nostri mari, non siamo capaci di dire basta, di impedire le tratte, la violenza sulle donne, la violenza a scuola, non siamo capaci di trasmettere valori ai nostri figli, anzi sempre più spesso diciamo loro di farsi i fatti propri.

Scriveva Antonio Gramsci su “La Città futura” l’11 febbraio 1917:

«Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città…

L’indifferenza opera potentemente nella storia, opera passivamente, ma opera. È la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza…

Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti».

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