LA PAROLA

Inutile

Ci dice il vocabolario che inutile è ciò «che comporta gli svantaggi impliciti nel superfluo o nell’infruttuoso»: una definizione che sembra scritta da un avvocato parruccone, manca solo un ex lege o un de qua qua e là (avete presente quando l’avvocato dice cose che capisce lui solo, per caso o per arte?). Oppure scritta da un tristo legislatore, da un burocrate, in fondo a una serie di “visto” e “considerato”, ci sta proprio bene in un atto pubblico: «Considerato che comporta gli svantaggi impliciti nel superfluo o nell’infruttuoso…».  Ci sono tante cose inutili a questo mondo, materiali e immateriali, oggetti ma anche azioni, pensieri, intenzioni; se ci fosse una hit parade dell’inutilità, saremmo in molti ad arrivare fra i primi posti.

Su questa parola complessa, multifunzione, nostra quotidiana compagna di vita e d’occasione, la Treccani ci dice praticamente tutto, perché le implicazioni di questo aggettivo apparentemente innocuo, sul quale si riesce sempre a giocare poco o affatto, sono davvero molteplici.

Innanzitutto inutile è qualcosa «che non dà alcuna utilità o vantaggio»: inutili possono essere le parole, o un oggetto che pensavamo fattapposta, una persona in un contesto nel quale non cambia la situazione o per sua stessa natura, a detta di qualche suo crudele sodale (perché dire a qualcuno che «è inutile» non è proprio una gentilezza, non vi pare?)

Questa parolina di sette lettere ha anche il potere di definire uno stato interiore nel quale la propria autostima è così rasoterra da farci sentire – ahimè – esseri inadatti, senza posto nel mondo, privi di uno scopo, mangiatori di pane a ufo, ai limiti del danno per il creato.

Quel che non dà alcuna utilità o vantaggio spesso è anche superfluo, come uno dei tanti nostri acquisti sconsiderati – sport in cui qualcuno è addirittura specialista – che poi restano chiusi negli armadi per secoli, in attesa di una buona occasione per uscirne (o forse di uno sconto di pena, chissà). Per definire l’accumulo di cose inutili i sintetici anglofoni utilizzano una sola parola: clutter. In realtà vuol dire ingombro, casino, ma certo fa più figo dire che stai facendo decluttering e space clearing quando metti a posto e pulisci casa tua.

Infatti contro questo dominio degli oggetti nelle nostre vite e nelle nostre case c’è ora un mantra ricorrente, ripetuto da quelli preposti a darti indicazioni su come muoverti felicemente là dove ti trovi a passare il tuo tempo su questa terra: dallo psicologo al santone, dall’omeopata allo sciamano. Lo chiamino space clearing o vastu, il cui scopo finale è liberare se stessi o sopportare gli scarni quarantametriquadri che siamo riusciti a comprare. Questi signori son tutti d’accordo nel dire che dopo – dopo aver riempito più volte il cassonetto – ci sentiremo leggeri come una piuma, finalmente liberi, di nuovo con tutta l’energia che l’accumulo ci stava bloccando – ahi ahi ahi – specie nella parte sud della casa! Non ti eri accorto che ti stava paralizzando!?

Così, dopo aver speso per accumulare, tocca anche spendere per imparare a buttare, nella convinzione che ci possa servire a fare quella chiarezza interiore che l’osservazione della mente – la meditazione – già poteva insegnarci egregiamente gratis, senza bisogno di questi costosi e modaioli nuovi guru.

Inservibile, inutilizzabile, irrecuperabile: sono i sinonimi con i quali l’inutile s’aggira per il mondo. Ce lo dicono i guru, insinuando sottilmente che un po’ inservibili e irrecuperabili siamo anche noi se non facciamo piazza pulita a pagamento, passo per passo, seguendo le loro istruzioni. Ma inutile può essere anche sostantivato con valore neutro, in funzione di predicato nominale di una proposizione soggettiva, come «è inutile che ti affanni tanto». E… «non butterò via la mia collezione di farfalle», potreste aggiungere voi, mentre opponete il gran rifiuto all’altrui gestione dello spazio vostro.

Se l’essere umano fosse come un computer, allora sì che fare spazio sarebbe utile, perché ne andrebbe del recupero di quei giga che permettono al sistema operativo di girare senza intoppi: ma a noi ci fottono i pensieri, mica gli oggetti, hai voglia a buttare, hai voglia a scappare…

Hai detto: «per altre terre andrò, per altro mare.
altra città, più amabile di questa, dove
ogni mio sforzo è votato al fallimento
dove il mio cuore sta sepolto
ci sarà pure».

«Non troverai altro luogo, non troverai altro mare.
la città ti verrà dietro. Andrai vagando
per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere.
imbiancherai in queste stesse case. Sempre
farai capo a questa città. Altrove, non sperare,
non c’è nave, non c’è strada per te.
Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto
tu l’hai sciupata su tutta la terra».

Costantin Kavafis, La città

 

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