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La caduta del falco

Il falco è il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Bolton, che Trump ha appena licenziato con un tweet. Noto per le posizioni estreme verso Iran, Iraq, Siria, Corea del nord, Venezuela, Yemen e Cuba di cui aveva auspicato il rovesciamento dei governi, in realtà, Bolton ha pagato l'impopolarità del presidente
Foto “Usa Today”

Dopo le pacate e dignitose celebrazioni dell’11 settembre, Trump è ritornato alla pazza e sgangherata routine quotidiana della sua amministrazione e ha licenziato, con un tweet, il terzo consigliere della sicurezza nazionale: il superfalco John Bolton. Seguito ai generali Raymond Mc Master e a Michael Flynn, liquidati in precedenza, anch’essi ex abrupto, John Bolton, non un militare, si era distinto, nei suoi 519 giorni di servizio, per le sue posizioni estreme e aggressive nei confronti di Iran, Iraq, Siria, Corea del nord, Venezuela, Yemen e Cuba di cui aveva spesso auspicato il rovesciamento dei governi. Già attivo nelle amministrazioni di Ronald Reagan e Bush padre, Bolton, dopo la mossa di Trump, non sembra tuttavia essere rimpianto all’interno del partito repubblicano, intimorito dalle sue posizioni guerrafondaie che hanno esposto la Casa Bianca al rischio di un conflitto globale.

Trump sta annaspando in questo momento in acque pericolose, specie in politica estera, non avendo riportato alcun significativo successo in nessuna delle zone calde del mondo, come pare Bolton gli rimproverasse. Anche se le posizioni radicalmente conservatrici del consigliere per la sicurezza nazionale, non sono state certo in grado di riportare equilibrio nello scacchiere internazionale, creando in alcune occasioni polveriere sull’orlo di esplodere, come la situazione in Iran sta dimostrando.

Particolarmente Bolton sembra sia stato critico con Trump a proposito della Corea del nord dopo due summit con Kim. Ma non è quello che il presidente voleva sentire. E ancor meno il Segretario di Stato, Mike Pompeo, che aveva seguito e curato tutte le mosse con Pyongyang. Inoltre Bolton aveva trovato che le negoziazioni con i Talebani non fossero una buona cosa in quanto non ci si poteva fidare di loro. Trump tuttavia aveva fretta di concludere una sorta di negoziato che gli permettesse di portare le truppe a casa e di potere dire di avere ottenuto almeno una vittoria. Per questo si preparava agli incontri di Camp David come mediatore tra il presidente afgano Ashraf Ghani e i leader talebani. Bolton si era opposto in maniera molto decisa a questa mossa. Ormai da tempo i rapporti tra i due erano tesi.

«La scorsa notte ho informato John Bolton che i suoi servigi non erano più richiesti dalla Casa Bianca. Sono stato in disaccordo molte volte con i suoi suggerimenti come d’altra parte molti altri nell’Amministrazione… e pertanto ho chiesto le sue dimissioni che mi sono state rassegnate questa mattina», ha affermato il presidente. Bolton da parte sua tuttavia lo ha smentito, affermando che si è dimesso già dalla sera prima di sua spontanea volontà, come ha confermato con un contro-tweet, allo “Washington Post” e a “Foxnews”.

Pompeo ha poi rincarato la dose, mostrando inoltre tuttavia di avere capito come comportarsi con Trump, e ha affermato: «Su molti punti Bolton ed io eravamo in disaccordo» per concludere poi confermando che la volontà del presidente non si discute: «Sarà tuttavia il presidente e spiegare le ragioni della sua decisione, ma credo di poter dire che il presidente ha il diritto di scegliere i membri dello staff che preferisce».

Ma le ragioni del licenziamento di Bolton non sono solo dovute ai contrasti sempre più aspri con il presidente. Il 2020 si avvicina a passi da gigante e Trump sa bene che è importante avere qualcosa di concreto da presentare agli elettori che al momento non sembrano molto contenti. Per quanto riguarda le percentuali di gradimento, infatti, Trump al momento si trova messo abbastanza male, appena al 39%. Inoltre solo il 36% di quelli che lo hanno votato ha affermato che merita di essere rieletto. Ha pertanto bisogno di un segnale forte che alimenti una popolarità in forte ribasso e di una copertura dei media che lo riporti in primo piano. Il team di Trump, relativamente inesperto, fa fatica specie in politica estera a dotare il presidente di un’aura di successo, cercando in ogni occasione anche la più insignificante, di creargli quell’apparenza di statista che non ha. «Questo significa che Trump ha un bisogno disperato di mostrare una serie di mosse concrete, anche se solo di natura cosmetica, più che significative dal punto di vista politico prima del 2020, soprattutto con paesi come l’Afghanistan, l’Iran e la Corea del nord e in Bolton ha visto solo un ostacolo» ha affermato Colin Kahal dello staff di Obama affiliato al gruppo del Foreign Policy for America.

Bolton, che è uomo di apparato, conosciuto infatti per essere intransigente e grande conoscitore dei giochi politici di Washington, si opponeva invece a un semplice ritocco di certe posizioni solo a fini propagandistici e Trump, come si sa, sopporta poco bene di essere contraddetto. Così all’obiezione che portare i Talebani a Camp David in una data cosi vicina alle celebrazioni dell’11 settembre solo per riportare a casa le truppe non era buona idea, Trump ha reagito pensando bene che era il momento di liberarsi del consigliere che troppe volte ormai lo aveva contraddetto anche pubblicamente. Certo, la sua eliminazione è una vittoria per la Corea del nord che nei mesi passati aveva cercato di creare un divario tra il presidente e il suo consigliere e per la Russia che, per ammissione di Trump, al G7 doveva essere riportata tra i grandi, mentre per Bolton sarebbe dovuta rimanere fuori. La differenza tra Bolton e Trump è che il primo, è espressione ideologica dell’establishment neocon, quello stesso che acquistò un enorme potere dopo l’11 settembre, mentre il secondo non ha barriere ideologiche, non segue nessuna dottrina politica altro che quella di America First con una retorica basata sul semplice fatto che il resto del mondo cerca di approfittarsi della generosità dell’America di cui lui è l’unico difensore. Questo evento conferma però una volta di più il modo di funzionare dell’Amministrazione Trump: mai contraddire il presidente e soprattutto fidarsi ciecamente, anche in palese contraddizione con i fatti, delle sue parole e delle sue intuizioni politiche. Vi ricorda qualcuno a cui si doveva, prima che ad ogni altra persona o cosa, un giuramento di lealtà assoluta alla persona?

L’articolo è uscito a firma di Anna Camaiti Hostert su “Succedeoggi“, la factory gemella di TESSERE