LA PAROLA

Gorgia

Si chiama Gorgia addirittura “Gorgia toscana”. Ma se in Toscana chiedete cosa sia, le risposte oscilleranno tra il nulla (maggioranza assoluta senza necessità di improbabili ammucchiate), le risposte dei vecchi licealini secchioncelli di mezza tacca, le disquisizioni saputelle dei vecchi liceali che, pur passando gli anni, hanno invece continuato a saperla lunga, e infine la sicurezza di una sparuta, ma proprio sparuta, minoranza che vi proietterà in un labirinto fonetico dal quale è molto probabile che uscirete più ignoranti di come siete entrati.

Per quel che mi riguarda confesso di averne saputo poco fino alla richiesta di una mia amica di Bolzano da dove, non riuscendo neanche distinguere tra scala e scaleo, spesso domandano lumi toscani al minimo dubbio linguistico. Ma siccome il liceo l’ho fatto da mezza tacca, in qualche modo comunque ho provato a cavarmela non senza un’utile occhiata a Wikipedia: «Gorgia da Lentini era un sofista del quarto secolo avanti Cristo. Uno che, nel settore, era abbastanza considerato; addirittura qualcuno lo classifica tra i più grandi sofisti della filosofia». E del resto l’uomo ha lasciato anche traccia se solo si pensi che, anche oggi, chi spacca il capello in quattro e si mostra insopportabilmente cavilloso, subito viene redarguito: «Per favore, non fare il sofista».

Per non tralasciare che molti giornalisti e anche parecchi politici devono non poco al vecchio Gorgia, essendo convinzione comune che l’uomo di Lentini abbia creato nientemeno che l’arte retorica. Sì proprio quella nella quale si scivola quando si ricerca l’effetto, si abbonda in luoghi comuni e si finisce per scrivere tanto dicendo poco. Alle mezze tacche liceali non è dato tuttavia di conoscere se anche Gorgia fosse così retoricamente ampolloso da travolgere nella noia mezza Magna Grecia. Una risposta caso mai ce la possono offrire quei liceali saputelli che invece sono andati oltre. Da loro, infatti, non solo ogni particolare dei pochi che esistono sul vecchio filosofo ma anche declamazioni erudite sulle frasi celebri del Nostro. Ovvero quelle cose che la scuola di Giovanni Gentile ci invitava (e talvolta ci costringeva) a imparare a memoria. Gorgia disse: «La potenza della parola nei riguardi delle cose dell’anima sta nello stesso rapporto della potenza dei farmaci nei riguardi delle cose del corpo». Senza l’imbeccata, avrei di sicuro attribuito la frase a Don Milani.

Retorica e non retorica c’è comunque da dire che, se il viaggetto in terra sicula è stato interessante, esso tuttavia non è stato utile a chiarire il vero significato della parola gorgia. E qui davvero gli eruditi sono proprio pochi e chissà se saranno di più una volta raccolto l’aiuto dei dizionari. La gorgia è «un’aspirazione delle consonanti occlusive sorde, caratteristica delle parlate toscane».

Ovviamente cosa siano le consonanti si dà per scontato; va precisato invece che tra di esse le occlusive sono quelle che si producono dall’interazione di due organi (labbra, palato, denti). Essi, nella circostanza, operano in modo da non permettere inizialmente il passaggio dell’aria per poi generare, per pressione, una rapida fuoriuscita con la conseguente emissione del suono. Le consonanti sorde, a differenza di quelle sonore, sono invece quelle che si ottengono senza vibrazione delle corde vocali.

Quindi noi toscani, in particolari casi, quando pronunciamo consonanti occlusive sorde, siamo inclini ad effettuare una gorgia, cioè un’aspirazione che caratterizza la pronuncia di un vocabolo. Per non complicare ulteriormente le cose occorre, per esempio, fate un salto lungo la costa tirrenica che fu etrusca. Vi sarà capitato di sentire a Piombino o a Cecina pronunciare, per esempio, il sostantivo casa con una consonante “c” che, non sempre ma spesso, viene letteralmente mangiata. Ovvero, come qualcuno trascrive “la hasa”. Eccoci quindi di fronte alla hadenza, che fa immediatamente classificare la gente del posto come abituale frequentatrice della gorgia.

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