I ricordi, spesso, stimolano nuove emozioni. A volte basta una semplice parola, sentita per caso, a riportarti magicamente nel passato e ti prende la smania di scriverla, di riscoprirla per risvegliare assopite esperienze di vita vissuta e continuare a sognare. Quella che in questi giorni mi ha affascinato, mentre osservavo un gruppo folcloristico di Maggiaioli che si esibivano nel tradizionale “Cantar Maggio” nella Montagna Pistoiese, è la parola siciliana “trancàscia” (grancassa).
Da secoli, negli esseri umani, gli strumenti musicali hanno destato curiosità e interesse, non solo per l’armonia dei suoni che le note riescono a produrre, ma anche per l’evoluzione delle strutture fisiche degli stessi. Una attrazione particolare la suscitano quelli a fiato e a percussione dei complessi bandistici, specie quando nei concerti, i musicanti attingono dall’immenso repertorio, nazionale ed internazionale, che spazia dalla musica classica e operistica a quella moderna e leggera, per non dire delle colonne sonore dei tanti film di successo.
Nella banda tradizionale, che ogni tanto vediamo esibirsi per le strade in varie manifestazioni civili, religiose e militari, stupisce con la sua forma poderosa la trancàscia. La cassa di risonanza è cilindrica e viene realizzata con legno pregiato, chiusa con delle pelli tese al massimo. Su di esse risalta il nome del complesso che spesso incornicia lo stemma del comune di appartenenza. Lo strumento può avere misure diverse, in particolare nel diametro che varia dai 41 ai 54 cm. Dalla, più o meno forte, percussione manuale del musicista con il mazzuolo (accessorio di legno con la testa sferica ricoperta di cuoio), ne scaturisce l’intensità del suono.
Il musicista, agganciato il cinturone alla trancàscia, con fatica se la porta in spalla, la inclina sul davanti e battendola deciso dà il segnale: «Boom boom boom». Il Maestro impugna la bacchetta per richiamare l’attenzione dei musicanti e delle majorettes, se fanno parte del gruppo. Con un sorriso, la Capitana delle majorettes, solleva alto il bastone piumato e cadenza il passo alle ragazze al ritmo incalzante dei tamburi. Tra gli applausi del pubblico inizia la sfolgorante parata. Negli adulti, riecheggiano con nostalgia le note e le parole della Banda cantata dall’intramontabile Mina quando da giovane rimuoveva tristezze e pene d’amore.
In passato a dire «si pèiu di ‘na trancàscia» (sei peggio di una grancassa) si zittiva chi nelle conversazioni sproloquiava in continuazione ad alta voce, senza ascoltare gli altri. O, nell’indicare una persona, «si fici ‘a panza quantu ‘na trancàscia» (si è fatta la pancia quanto una grancassa) se ne criticava l’aspetto fisico.
Ancora nei primi anni del dopoguerra in alcuni paesi si aggirava ‘u bbanniatùri (il banditore) che munito di trancascèdda (piccola grancassa) battendola ripetutamente si fermava negli angoli dei vicoli e con voce solenne comunicava alla popolazione importanti notizie, annunciava manifestazioni, orari e luoghi dove si tenevano, invitandola a partecipare.
Ricordo con tenerezza l’ultimo bbanniatùri del mio paese, ormai vecchio e senza trancàscia che, incaricato dal pescivendolo, sollecitava i cittadini a recarsi in pescheria e tutti i bambini gli correvano dietro imitandone la cantilena:
«Sintìti, sintìti, uòoora uòra arruvàvu ‘u piiiiisci spaaaaada, beddu frìscu ièvi ‘u piiiiisci spaaaada! Oh ìtici, oh ìtici! Truvàti macàri i sìcci e i purpitèddi! Accattàti…accattàti!»
(Ascoltate è arrivato ora il pesce spada ed è freschissimo! Andateci! Troverete anche le seppie e i polipetti! Comprate!).
Gli stessi bambini che, alle 17 in punto, si ritrovavano a frotte nelle case di quelli più fortunati possedere già la televisione, per seguire la “TV dei ragazzi”. Incantati esplodevano di gioia, non sapendo delle battaglie dei primi animalisti, quando negli spettacoli del circo, il domatore schioccava la frusta ed entrava in pista col mastodontico elefante “Dumbo” in carne ed ossa. Dopo innumerevoli esercizi Dumbo, in precario equilibrio sul mappamondo di acciaio, allungava la proboscide e con un mazzuolo batteva, a tempo impeccabile, una ciclopica “trancàscia”. Inquadrato dalla telecamera in primo piano finiva il suo numero con lunghi barriti: di ringraziamento?