LA PAROLA

Magone

In origine furono i ventrigli di pollo, la cui scarsa digeribilità è nota e a cui il termine di derivazione longobarda mago (magen, in tedesco, significa stomaco), rimanda. Da qui a diventare bozzo, peso sullo stomaco, groppo alla gola, magone, il passo è stato breve.

L’etimologia delle parole è sempre curiosa e piena di sorprese (come non pensare alla parola vanvera che TESSERE ha proposto grazie alla penna di Fiorenzo Bucci) e anche magone non poteva dispensarsi dalla regola. Cosa meglio di un mappazzone indigesto rende, infatti, l’idea di come ci si senta quando la tristezza prende il sopravvento, lo stomaco si chiude, il respiro si accorcia, le lacrime salgono? Forse solo la metafora dell’ovo sodo dell’omonimo film di Paolo Virzì, che si è piazzato nella gola del protagonista Piero Mansani, e «non va né in su, né in giù».

Un’altra spiegazione, più colta di quella comunemente accettata, assegna alla parola origini genovesi e rimanda al condottiero cartaginese Magone Barca, fratello del più celebre Annibale e anche lui protagonista delle Guerre Puniche. Dopo aver battuto, al fianco di Asdrubale (l’altro fratello), gli eserciti di Publio e Gneo Cornelio Scipione, in Spagna, e essere stato a sua volta sconfitto dai romani a Ilipa, Magone si ritirò nelle Baleari per arruolare nuove truppe, con le quali, nel 205 a.C., sbarcò in Liguria e mise Genova a ferro e fuoco con i suoi 14 mila uomini. L’inaudita violenza dell’attacco e le spaventose perdite di vite segnarono talmente in profondo l’animo e la memoria dei genovesi, che da allora ogni sensazione di ansia, paura, travaglio, patema, preoccupazione, dolore e sofferenza venne espressa col modo di dire avéi o magon, avere il magone.

Il poeta milanese Maurizo Cucchi, al magone ha dedicato una poesia, pubblicata nella raccolta Il disperso, del 1994:

Se mi guardi bene sto già pensando
al giorno non lontano in cui dovrò sgomberare la mia roba da qui
per portare tutto nell’altra casa.
I libri e il pianoforte che ancora non ho imparato a suonare.
E già premedito l’inevitabile magone di cui
potrò dirmi che è la mia parte migliore.
E il pacco, che scarti mentre dici
“qui c’è il pigiama nuovo che ti ho preso per la dote”…
Di dietro agli occhi tanto per cambiare
sento la lacrima che sale, ma questa volta
ce la faccio e mi trattengo. Non è questione
d’essere mammone, è che lo spettro
della solitudine ormai doppia (non mia)… e quella musica
alla radio della domenica nel primo pomeriggio confessa
e stabilisce la quantità della pena. E qui
di fare il bravo il duro di giocare d’ironia
per non sentirsi dentro
straziare dalla commozione questione…
… questione non è più ti dico.

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