LA PAROLA

Populismo

«Il populismo letteralmente vuol dire “ritenere che il popolo esista e che sia un ente di ragione”. E invece il popolo non esiste, esistono interessi determinati, soggetti determinati, culture determinate. Il populismo invece è la pretesa di rappresentare tutte le parti e non di cercare un accordo tra loro». Parola di Massimo Cacciari, che sulle colonne del “Fatto quotidiano” parla a suo modo, quindi con la forza della passione, solo leggermente annacquata dalla ragione e della conoscenza, delle prossime elezioni in Sicilia.

Il populismo, nella seconda definizione offerta dal filosofo veneziano, va molto di moda, da anni. E non accenna a passare, insinuandosi sempre più insidioso negli spazi vuoti lasciati dalla scomparsa di solidi riferimenti politici e culturali, approfittando dell’ignoranza e della cattiva informazione.

Eppure, populismo, come dimostra anche l’origine della parola, mutuata dall’inglese populism, a sua volta derivato da  populist (populista) come traduzione del russo народничество (narodničestvo), è nato per indicare, recita il vocabolario Treccani, il «movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia tra l’ultimo quarto del XIX secolo e gli inizi del XX; si proponeva di raggiungere, attraverso l’attività di propaganda e proselitismo svolta dagli intellettuali presso il popolo e con una diretta azione rivoluzionaria (culminata nel 1881 con l’uccisione dello zar Alessandro II), un miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate, dei contadini e dei servi della gleba, e la realizzazione di una specie di socialismo rurale basato sulla comunità rurale russa, in antitesi alla società industriale occidentale».

  Successivamente, il termine è passato ad indicare un atteggiamento ideologico che tende ad esaltare in maniera demagogica e strumentale il popolo come «depositario di valori totalmente positivi», scrive ancora il vocabolario Treccani. In sostanza, il popolo ha sempre ragione? Ma la vera domanda è quali sono le ragioni del popolo? Da non confondere, quindi, populismo, con democrazia, perché la seconda è un “meccanismo”, mentre il primo è ideologia. Populismo è piuttosto demagogia, parola che ha la stessa radice greco –δήμος (–demos popolo), di democrazia, ma che significa trascinare il popolo (dal verbo  άγειν (aghein, condurre, trascinare).

Nella sua evoluzione attraverso la storia, il sostantivo populismo ha perso l’orientamento “socialista”, e ha finito per indicare tutti quei movimenti politici che cavalcano il malcontento popolare verso chi governa: in Italia, Salvini, Grillo, ma non meno di loro l’ultimo Renzi e prima ancora Berlusconi, senza andare ad altri esempi ancora precedenti; in altri Paesi Trump, Farage, Le Pen.
I populisti utilizzano un linguaggio aggressivo, fatto di slogan di facile comprensione e di sicuro effetto, adatto a trascinare il popolo, appunto; grattano la pancia degli interessi diffusi, si indignano e si scandalizzano a comando, banalizzando una realtà di solito molto più complessa. Certamente è più facile raccogliere malumori, che offrire soluzioni per risolverne la causa. Chi arriva a governare grazie alle campagne populiste, poi deve avere una forza economica, mediatica e politica enorme per mantenere il consenso facilmente conseguito con facili idee. Quindi, in estrema sintesi fare populismo è prendere in giro il popolo.
Per dirla con Umberto Eco, «appellarsi al popolo significa costruire un figmento: siccome il popolo in quanto tale non esiste, il populista è colui che si crea una immagine virtuale della volontà popolare».