LA PAROLA

Pressappochismo

Il pressappochismo è l’atteggiamento delle persone che agiscono con superficialità e approssimazione, senza alcuna cura per quello che stanno facendo: si può essere pressappochisti nel lavoro, nella vita di tutti i giorni, nei rapporti con gli altri, nell’esprimere un’opinione.

Deriva dall’avverbio pressappoco, che altro non è se non la crasi di press’a poco, modellato, secondo alcune fonti, sul francese à peu près. Il significato è chiaro: all’incirca, più o meno, suppergiù. L’uso si è diffuso in Italia già nel XVII secolo, mentre il corrispondente sostantivo pressappochismo (con una o due “p”) è assai più recente. Il sito Unaparolaalgiorno lo fa risalire agli anni Venti del ‘900, in particolare nell’opera dello scrittore lombardo Carlo Linati, tra le altre cose a lungo collaboratore della rivista “La voce”.

Il pressappochismo è il trionfo della sciatteria e della faciloneria, dell’imprecisione e della trascuratezza, ma anche dell’ignoranza e della presunzione di sapere, oltre che caratteristica tipica del bighellone, che si accontenta di un risultato insufficiente purché prodotto con il minimo sforzo. Sono fatte con pressappochismo le cose realizzate senza visione e senza progetto, ma soprattutto senza buon senso. In una sola parola è l’apoteosi della mediocrità. Purtroppo, non l’aurea mediocritas dei latini, coniata dal poeta Orazio, che con questa espressione esaltava, in positivo, la posizione intermedia tra l’ottimo e il pessimo, tra il massimo e il minimo, celebrando il rifiuto di ogni eccesso e invitando a rispettare il giusto mezzo.

Esempi luminosi di pressappochismo sono i social, Facebook in particolare, “abitato” da intere legioni di tuttologi esperti “di breccino”, che si avventurano in terreni scivolosi e con opinioni che suonano come certezze sugli argomenti più vari: a seconda della notizia del giorno, tutti ingegneri (il crollo del viadotto Morandi a Genova), tutti allenatori (di calcio), tutti costituzionalisti (dai tempi dello sfortunato referendum voluto da Renzi, al niet di Mattarella al “primo” governo Conte), tutti esperti di diritto internazionale (la triste vicenda della nave Diciotti), tutti medici (l’infinita discussione sui vaccini) e via così.

Oscar Wilde riteneva la superficialità il maggiore dei peccati, forse esagerando e cadendo lui stesso nel medesimo peccato. Ma in fondo lui poteva permetterselo. Assai meno le “legioni di imbecilli” (cit. Umberto Eco) che dietro la tastiera si lanciano in improvvide, quanto pressappochistiche discussioni.

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