Intervista a Ricard de Vargas Golarons, professore di storia e membro del circolo culturale “Ateneu Enciclopedic Popular” di Barcellona che in gioventù ha conosciuto, portandone ancora i segni, gli orrori delle torture praticate dal regime franchista. Un’intervista fatta un anno fa, che conserva, soprattutto dinanzi al tragico attentato terroristico dei giorni scorsi in Spagna, tratti su cui meriterebbe riflettere.
È un uomo di ottant’anni circa che soffre di una forma di cecità parziale causata dalle torture subite in gioventù, quando, militante del Movimento di liberazione iberica (MIL) prima e dell’Organizzazione della lotta armata (OLLA) poi, fu arrestato a Barcellona, sotto il regime franchista. Quando quell’incubo finì nel 1975 – appena quarant’anni fa – e la Spagna ha riscoperto il sapore della libertà perduto nel 1939, Ricard de Vargas Golarons, ha potuto dedicarsi alla passione della sua vita, la traduzione e la storiografia, dedicandosi in particolare allo studio dei fatti che riguardano la sua stessa vita, le peripezie dell’anarchismo e del socialismo militante, allargando lo sguardo anche all’Italia e ad altri paesi impegnati nella lotta anti-fascista. È divenuto professore di storia e membro del circolo culturale barcellonese “Ateneu Enciclopedic Popular”.
Ho avuto l’opportunità di incontrarlo un anno fa, all’inizio di luglio del 2016. È un uomo dall’umore spesso poco solare, che non parla speditamente come nel passato. Dopo diverso tempo gli chiesi se poteva concedermi un’intervista o comunque rispondere a delle domande che mi incuriosivano. Ci incontrammo in un bar dove abbiamo avuto questa conversazione. L’ho sentito recentemente e ho potuto apprendere che gode di relativa salute e sta cercando di recuperare parte della vista perduta tramite un intervento. Benché datato, anche dopo la tragedia che ha colpito Barcellona merita forse di leggere quanto sostiene quest’anziano anarchico.
Professor De Vargas, lei è stato vittima di torture nella stagione buia della Spagna. Quali tecniche erano più utilizzate dal regime per questa violenza?
Erano diverse, indicibili inizialmente. Molte poi sono state rivelate: soffocamento in acqua, utilizzo dell’elettricità, asportazione delle unghie, stupro, sigarette sulla pelle; spesso si ricorreva alla finta fucilazione, ma forse la più famosa è stata la garrota. Molti compagni sono caduti in seguito alla tortura, che molte volte andava crescendo fino alla morte. E poi i plotoni di esecuzione.
C’erano sistemi per linciare una persona senza lasciare lividi e spaccare gli organi sotto alla pelle. Ad un compagno ancora vivente di 88 anni – amico di Enrico Sabadell, figura di spicco dell’anarchismo catalano – hanno distrutto il fegato, lasciandolo moribondo. Lui è riuscito a vivere, anche se necessita di continue trasfusioni, ed ha continuato a lottare anche dopo.
La Spagna, ancor oggi, è sotto accusa da parte di Amnesty International per via delle indagini sulle torture che ancora non hanno fatto piena luce sulle responsabilità. Ci sono state anche sanzioni internazionali per questo motivo che è una tematica ancora di grande attualità.
Quali tratti descrivono, secondo lei, la psicologia dei franchisti?
I falangisti erano simili ai fascisti italiani. Erano conservatori, nazionalisti, anti-sovietici, anti-socialisti. A partire dalla crisi che fece seguito al primo conflitto mondiale, contestavano la vecchia struttura statale, esaltando la “nazionalità” e attaccando la sinistra. I capitalisti si avvalgono di queste cose per sostenere i propri piani. In Austria sono state inficiate le elezioni. È significativo, e anche un po’ curioso che prenda voti un partito nazista, e che a farsi carico dell’opposizione contro la tirannia capitalista in centro Europa sia oggi la Destra; qualcosa di analogo succede in Francia, in Italia e anche qui in Spagna, dove la sinistra arranca. Con il risultato che il nemico è lo straniero, non il padrone, non lo Stato, ma lo straniero. Qui in Catalogna ancora no: questo è un paese multiculturale, si parlano 300 lingue, la regione non è xenofoba. Qui si è fatta una rivoluzione unica nel mondo. Tutto è cambiato, gli stranieri hanno scritto molti libri sulla rivoluzione catalana; un’autentica autogestione.
Sono state significative le ingerenze straniere nel Franchismo?
Nella Guerra civile sono state coinvolte tutte le potenze, ma nessuna di quelle cosiddette “democratiche” ha contribuito significativamente, con armi pesanti come l’aviazione, a sostegno della Spagna democratica, che è stata abbandonata al proprio destino. Mentre il franchismo era utile agli altri fascismi, e da questi sostenuto, dall’altra parte, dai paesi democratici arrivavano solo volontari a supportare la sinistra. Così, per 40 anni, anche dopo la Guerra civile, c’è stato uno sterminio, con stragi di lavoratori, di oppressi e di interi gruppi che sono stati annichiliti, tollerato dalla Corona spagnola. Sorprendentemente il movimento anarchico e comunista è sopravvissuto a tutto ciò.
Poi la situazione della Spagna si è inserita a pieno in quello che è stato lo scontro tra Urss e Nato. Eisenhower decise di portare a termine la lotta contro i fascisti, ma poi, sul lungo periodo, non ne fece di nulla; dagli anni Cinquanta iniziò a dare soldi per poter costruire le proprie basi in Europa per arginare la potenza sovietica. Ha trovato terreno fertile anche in Spagna, dove, nelle principali città, ci sono ancora basi importanti della Nato.
Veniamo alle questioni di oggi, professor De Vargas. Come vede la città di Barcellona nei prossimi 10-15 anni?
È impossibile sapere con certezza quello che succederà. Il mondo cambia continuamente ormai. Io credo che la situazione possa peggiorare ancora per via delle contrapposizioni che il capitalismo genera e per via delle problematiche legate allo sviluppo tecnologico. Barcellona è parte di una Spagna in decadenza; al di fuori della bolla turistica, la situazione non potrà durare a lungo. La crisi globale è appena iniziata; l’indipendenza della Catalogna non può mascherare le ragioni e le conseguenze della crisi; anche se migliora il tasso di democrazia, il problema rimane la sicurezza economica.
Che ruolo pensa abbiano gli intellettuali di sinistra nel panorama attuale? Si considera parte di questa categoria?
La sinistra ha perduto la sua impronta rivoluzionaria. La sinistra istituzionale è cambiata in peggio; quelli che si chiamavano Partiti Comunisti sono scomparsi e ciò che ha preso il loro posto non funziona sullo scenario attuale. Oggi, infatti, la parte liberale forma assieme alla destra moderata una sorta di blocco unico. Mi spiego ragionando di Barcellona: per sopravvivere deve portare avanti la trasformazione verso forme sociali basate sulla cooperazione e l’assistenzialismo popolare, attraverso le istituzioni come le cooperative e gli altri gruppi organizzati dai cittadini stessi; le organizzazioni devono svilupparsi sempre secondo questo indicazione, per raggiungere una vera condizione “di sinistra”. Altrimenti non cambierà nulla! Ma in quest’epoca, io potrei essere considerato un “alternativo”, sebbene sempre orientato decisamente a sinistra.
Lei cosa pensa della generazione dei “Millennials” e dei problemi che li aspettano?
Siamo dinanzi ad una società confusa e senza valori; la situazione è difficile e fa presagire una crisi totale. I movimenti delle occupazioni e per la libertà espressiva hanno un ruolo importante soprattutto dopo la “normalizzazione” dei partiti di sinistra. Io penso che l’unica possibilità sia data da un movimento operaio che lavori sull’ambito sociale. Deve essere conservata la componente ecologica, anche se, purtroppo, il problema dello sfruttamento ambientale è di difficile discussione. Le persone che vogliono trasformare la società sono in difficoltà contro il capitalismo che è sempre più forte e superbo. Ma stiamo comunque attraversando un momento molto importante, perché la disoccupazione adesso in Catalogna raggiunge il 20%, e nei prossimi 10 anni aumenterà anche a causa della rivoluzione robotica; tra 15 o 20 anni solo il 20% della popolazione lavorerà e la fasscia dei disoccupati sarà enorme. Gli daranno un sussidio? Il problema è come resistere al legame tra sviluppo tecnologico e potere economico. Io sono sempre stato ottimista, non sono pessimista, non è il mio carattere, ma… penso che la situazione sia pessima e destinata a peggiorare. La necessità maggiore è avere spazi sociali liberati: bisogna avere comunità autosufficienti, capaci di garantire piccole sicurezze. Riappropriazione delle strutture e delle risorse.
Che posizione dovrebbe avere la sinistra, secondo lei, riguardo allo sviluppo tecnologico?
La sinistra deve lavorare affinché robot e media siano usati per il bene della popolazione; tutta questa tecnica rivoluzionaria deve essere usata al servizio delle persone, non per controllarle. Se questo sviluppo andrà avanti così per altri 30 anni, le popolazioni escluse dal lavoro dovranno essere impiegate in qualche modo e la sinistra dovrà attrezzarsi a dare risposte in grado di creare organizzazioni che facciano lavorare la gente, senza ricorrere a strumenti stupidi e superficiali come il reddito minimo; la popolazione deve essere istruita e libera.
Esistono delle invenzioni che la spaventano?
Un’invenzione fa paura solo se rimane in mano agli interessi capitalistici e contro la popolazione; anche Internet può essere ottimo, ma rischia di essere usato per controllare la popolazione.
Cosa pensa del cosiddetto “integralismo islamico”?
Capitalismo mondiale e radicalismo islamico sono interessati a creare sistemi illiberali. Ma la direzione principale di questo processo è sostenuta idealmente solo dall’occidente, soprattutto dai paesi che principalmente soffrono del terrorismo. È l’occidente che ha creato e finanziato le organizzazioni terroriste, le armi gliele abbiamo date noi per interesse, per distrarre la gente da altre questioni sociali. La sottrazione di libertà è giustificata dal clima di guerra: il nemico se non esiste si crea, per profitto.