LA PAROLA

Quisquilie

O quisquiglie, ma rigorosamente al plurale, anziché quisquìlia, come ha insegnato la buon’anima di Totò – all’anagrafe Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, brevemente detto Antonio de Curtis – che le quisquilie le ha immortalate mettendole insieme alle sciocchezzuole, alle bazzecole ed alle pinzillacchere, a questioni, insomma, di cui non curarsi molto, cui prestare poca attenzione, essendo insignificanti ed immeritevoli di riguardo.

Nota giustamente il sito “Una parola al giorno”: «È molto bello osservare come una parola originariamente piuttosto dura si sia così tanto addolcita».

Le quisquiliaequisquiliarum, infatti, in latino erano l’immondezza, la feccia e la parola conserva il significato di imperfezione, impurità com’ebbe ad usarla Dante: «de li occhi miei ogne quisquilia / Fugò Beatrice col raggio d’i suoi» (Paradiso, XXVI, 75).

Di lì – da quel neo, da quella minuscola smagliatura, originariamente attribuibile al pattume, alla ‘munnezza, al rusco – la quisquìlia è risorta a minuzia, a inezia, a cosa di nessun conto della quale non merita occuparsi o perderci tempo in discussioni, perché ci si perde a star dietro alle quisquilie, non val la pena litigare per esse.

Naturalmente la parola la si può usare per dire di cose che invece hanno gran peso ed una certa rilevanza. Basta usarla in senso negativo come fece Palazzeschi riferendosi ad un assegno a vuoto di cinquecentomila lire: «non si tratta di quisquilie, di cose rimediabili facilmente».

Nell’antica Roma, quand’appunto indicavano il letamaio e quanto merita d’esser gettato – la feccia – in senso figurato venivano impiegate riferendosi alla gentaglia, la teppa, i marrani, da non confondersi con quelli che in siciliano si chiamano i quacquaraquà, una delle cinque categorie – insieme a «gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo» – in cui Leonardo Sciascia ne Il giorno della civetta, servendosi di questa voce fonosimbolica che ricorda il verso delle oche, divideva l’umanità, ai quali il nostro Totò avrebbe forse dato anche il nome di caporali.

«Insomma – notano ancora Massimo e Giorgio, animatori di “Una parola al giorno” –, si è passati dallo spregio al poco conto, un poco conto colorato da un’aria bonaria – senza gli spigoli della stupidaggine o dell’inezia».

Per loro la bellezza di questa parola risiede «nell’unione fra eleganza e ironia». Merita dunque servirsene per tagliar corto durante una discussione espungendo gli argomenti superflui e ridondanti; per chiedere scusa dopo essersi arrabbiati sminuendo i motivi della furia; per rassicurare chi fa domande sulla propria stemperando i motivi della preoccupazione.

In definitiva, dunque, le quisquilie non sono affatto sciocchezzuole, bazzecole o pinzillacchere.

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