LA PAROLA

Rabbia

A differenza della definizione che ne dà l’autorevole vocabolario Treccani  – secondo il quale ràbbia è inizialmente la «malattia infettiva, detta anche, ma inesattamente, idrofobia, provocata da un virus neurotropo (rhabdovirus) che determina un’encefalopatia acuta a esito quasi sempre letale» – e da cui ne deriva l’altro significato, assai più solitamente impiegato, quello di «irritazione violenta prodotta dal senso della propria impotenza o da un’improvvisa delusione o contrarietà, e che esplode in azioni e in parole incontrollate e scomposte», qui la parola rabbia trova la seguente definizione: «Si esprime la rabbia mordendosi la nocca di un dito, di solito l’indice. Non è necessario mordere forte: basta accennare soltanto il movimento. Ma trattandosi di un gesto passionale e subitaneo, ogni possibile variante è ammessa».

Perciò, più che le parole, qui vale l’immagine che accompagna il presente testo, la quale è tratta dal Supplemento al dizionario italiano, scritto ed illustrato – non avrebbe potuto essere altrimenti – da quel genio che risponde al nome di Bruno Munari, il quale – insieme ad Albe Steiner, artefice della T che costituisce il marchio di TESSERE e di molto altro ancora – è la stella polare della grafica editoriale italiana  e la felice mano che a lungo ha curato le edizioni Einaudi.

Il Supplemento al dizionario italiano di Bruno Munari è un delizioso libretto di un centinaio di pagine pubblicato per la prima volta a Torino nel 1958 in edizione fuori commercio per la società Carpano, quella dell’omonimo vermouth per intendersi, ed ora giunto alla 18ª ristampa per i tipi di Corraini editore che dal 1999 lo edita nella versione mandata in libreria, con l’aggiunta di 20 gesti, nel 1963 da Muggiani – sia fatta lode a chi ce lo ha regalato – che raccoglie disegni e immagini fotografiche di come le mani soprattutto, ma anche altre parti del corpo, possano parlare senza che dalla bocca escano suoni articolati  già giunti alla complessa forma di parole o quanto meno accompagnando in maniera inequivocabilmente visibile quanto può esser detto attingendo alle corde vocali e comprende parole singole – come appunto può essere rabbia, oppure no, o insisto, silenzio, marameo e così via – e frasi più complesse ed articolate, come nel caso di «Non me ne importa», «Se l’intendono», «Che peso!», «È un dritto».

Munari – ad onor del vero, ma dandone lui stesso testimonianza nell’introduzione – si rifà ad un volume datato 1832 che la Stamperia e Cartiera del Fibreno di Napoli pubblicò raccogliendo 19 illustrazioni e 380 pagine di testo curati dal Canonico Andrea de Jorio che prestò le sue attenzioni alla mimica napoletana, un istinto espressivo probabilmente diffuso ad ogni latitudine e longitudine, ma certamente solo nella tradizione partenopea – e di lì italiana – ha una così ricca vastità ed ha assunto le caratteristiche di un’inimitabile arte che O’ pernacchio di Edoardo De Filippo, «di testa e di petto, cervello e passione», col quale «si può fare una rivoluzione», indimenticabile episodio del film L’oro di Napoli di Vittorio De Sica del 1954, ha portato alla sua massima espressione.

Di ogni voce il Supplemento al dizionario italiano dà conto anche in inglese, francese e tedesco, lingue nelle quali non esiste una così articolata espressione teatrale d’un concetto che solo le parole riescono ad esprimere, ed insegna che dalla testa ai piedi, in ogni centimetro di quel complesso organismo che è il corpo umano, è racchiusa la capacità di comunicare e riferire ad un altro cosa sta nei nostri pensieri o nelle nostre emozioni. Benvenga chi quest’articolato e complesso modo di manifestarci e stare in relazione con gli altri ci disvela e ci insegna ad usare consapevolmente, non lasciando che il corpo parli da solo e a volte rinneghi clamorosamente cosa esce dalle nostre bocche.

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