LA PAROLA

Refuso

Dal latino refusus, participio passato del verbo refundĕre (riversare), la parola refuso definisce, nel gergo tipografico e giornalistico un «errore di composizione o di stampa prodotto dallo scambio o dallo spostamento di una o due lettere, o segni, causato spesso da errata collocazione dei caratteri nella cassa (per quanto riguarda la composizione a mano), o da errore del tastierista o da difetto meccanico (nella composizione a linotype o a monotype). In senso lato, errore tipografico o anche di fotocomposizione» (Treccani).

Il refuso più classico è quello che inverte la posizione delle lettere, dovuto allo scambio della posizione delle dita o al fatto che una mano è più veloce dell’altra. Oppure all’aggiunta o all’omissione di consonanti. Alcuni esempi: firma al posto di forma, compresse al posto di comprese, coniglio al posto di consiglio, vaso e caso, ecc. Spesso il refuso produce un doppio senso involontario che sfugge all’autore e al povero correttore di bozze. Quando va proprio tutto storto, finisce in prima pagina e nella civetta, oppure nelle pagine di un romanzo.

Ci sono titoli di giornali celebri ed esemplari: uno tra tutti, su un noto quotidiano nazionale, che nella cronaca di Reggio Calabria, titolò «Rapina un portavalori e si dà alla figa con un complice»…la I e la U, si sa, nella tastiera sono una accanto all’altra.

Gli esempi sono molteplici, Ma non c’è da farsene un cruccio, perché, come si dice, «chi ferra, inchioda» e faccia un passo avanti chi non è mai stato involontario autore di esilaranti refusi.

Oggi, la parola è diventata sinonimo di errore di battitura, ma anche di distrazione, nella stesura di un testo. In pratica, il vecchio “errore di ortografia”, che ai tempi del matitone rosso-blu, maestri e professori di italiano segnavano con una riga blu, appunto. A seconda della gravità, comportava che il voto venisse abbassato anche di un punto: il verbo avere senza la mutina, la Z al posto della S (errore tipicamente toscano), la vocale I dopo la C e la G nei plurali (messa o omessa).

Da non confondere con gli “errori di grammatica” e “di sintassi”, assai più gravi, che strapazzavano e ancora strapazzano la nostra bella lingua. A proposito, una prece per la scomparsa del congiuntivo.

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