LA PAROLA

Robot

Nell’immaginazione di chi ha superato gli “anta” e ha vissuto la rapidissima evoluzione della scienza e della tecnica, la parola robot richiama subito alla mente un automa dalle sembianze umane, fatto di metallo e dalla voce metallica, che si muove a scatti e aiuta gli umani nelle faccende domestiche. Oppure viaggia a bordo di astronavi intergalattiche o protegge e serve il suo “padrone” umano. Poi c’è anche il robot che si ribella all’uomo, rendendo autonoma l’intelligenza artificiale di cui è dotato per sottomettere chi lo ha creato.

Questi robot sono i protagonisti dei romanzi e dei film di fantascienza, gli umanoidi partoriti dalla fertile fantasia di Isaac Asimov, che per primo ha usato la parola robotica negli anni Quaranta e ha dedicato alla materia romanzi e racconti, confluiti nel Ciclo dei Robot. E che si è anche spinto oltre, immaginando le tre leggi della robotica che governano i robot positronici, ovvero gli umanoidi programmati per proteggere e essere a disposizione dell’uomo.

In realtà, è necessario ricordarlo, il primo film in assoluto dove compare un robot (l’androide donna Maria) è il capolavoro di Fritz Lang, Metropolis, del 1927, quando il cinema era ancora muto. La storia, peraltro, è ambientata nel 2026 in una megalopoli divisa in due livelli, in cui in superficie abita la classe dominante e nel sottosuolo un esercito di lavoratori-schiavi costretto a vivere in condizioni disumane.

Nel frattempo, dopo Asimov, la materia si è evoluta e nel linguaggio comune il robot è diventato «un’apparecchiatura artificiale – si legge su Wikipedia – che compie determinate azioni in base ai comandi che gli vengono dati e alle sue funzioni, con la supervisione diretta dell’uomo o autonomamente, secondo processi di intelligenza artificiale. Questi compiti dovrebbero essere eseguiti al fine di sostituire o coadiuvare l’uomo, come ad esempio nella fabbricazione, costruzione e manipolazione di materiali pesanti e pericolosi, o in ambienti proibitivi o non compatibili con la condizione umana o semplicemente per liberare l’uomo da impegni».

Ecco allora i robot da cucina, quelli usati nella chirurgia o nella produzione industriale, quelli che disinnescano le bombe o che si immergono negli abissi, che vanno su Marte, che fanno le riprese aeree, i droni oggi tanto di moda, che affiancano l’uomo o lo sostituiscono dove l’essere umano non può arrivare.

Da quando, per la prima volta, si è parlato di robot e di intelligenza artificiale, l’uomo guarda a questa materia con un misto di orgoglio (per aver riprodotto una macchina che può compiere azioni umane) e preoccupazione, per le conseguenze a cui potrebbe arrivare la cosiddetta I.A. se la ricerca non è controllata. Non è una caso quindi, che, a febbraio 2017, il Parlamento europeo abbia approvato una risoluzione che chiede alla Commissione europea regole giuridiche sul rapporto tra uomini e macchine intelligenti.

Infine una curiosità: la parola robot deriva dal ceco robota, che significa lavoro forzato. Il termine è stato usato per la prima volta nel 1920 dallo scrittore ceco Karel Čapek nel suo dramma teatrale I robot universali di Rossum, in cui la parola era utilizzata per definire gli automi che lavoravano al posto degli operai. Nelle lingue slave, parole affini o con la stessa radice rimandano tutte allo stesso significato: robota in polacco significa lavoro, che diventa rabota in russo e in ucraino. In polacco il temine robotnik significa operaio e il verbo robić significa fare.