LA PAROLA

Scatenare

L’invito a riappropriarci del potere insito in questa parola – e in tutte le altre – andando all’origine di essa, viene addirittura da Primo Levi che – in un brano de L’altrui mestiere intitolato A un giovane lettore (Opere, II, p. 847), per rispondere alla richiesta di questo riguardo i segreti dello scrivere – si sofferma sulla necessità di scegliere sempre la parola più appropriata, il sinonimo «“più giusto” degli altri» che va faticosamente cercato per giungere al risultato di dare il «massimo di informazioni con il minimo ingombro».

Ecco, in questa ricerca, dice Primo Levi, «mi pare che sia importante mantenere viva la consapevolezza del significato originario di ogni vocabolo; se Lei ricorda ad esempio che “scatenare” voleva dire “liberare dalle catene”, potrà usare il termine in modo più appropriato ed in sensi meno frusti. Non tutti i lettori si accorgeranno dell’artificio, ma tutti percepiranno almeno che la scelta non è stata ovvia, che Lei ha lavorato per loro, che non ha seguito la linea della massima pendenza».

E dunque scateniamoci, come potremmo dire entrando in una discoteca, o nell’alcova al massimo dell’eccitazione, servendoci del significato figurativo di questo verbo, non di quello suo originario più raramente impiegato. Ma anche in questo la ribellione, e per mezzo di essa la sottrazione al giogo, è presente.

Semplicemente significa «liberare e dare libero corso a ciò che era chiuso, contenuto, ristretto» e quando c’è di mezzo la libertà cosa può esserci d’ostacolo? Si scatenano i venti e la tempesta, putiferi e pandemoni, la furia della folla ed anche una folle furia, o il furore, l’odio e la collera, ma anche una passione senza freno è “scatenata”.

Scatenare significa «far sorgere in maniera improvvisa e difficilmente controllabile» per esempio l’invidia degli altri per qualcosa di buono che s’è fatto, ed anche «esplodere con veemenza», quando si scatena una accesa polemica.

Ha a che fare con lo “sfrenato” – perché questo, anziché alle catene, si riferisce ai freni, entrambi comunque costrittori – come quando ci si abbandona a non ordinarie manifestazioni di contentezza, divertimento, euforia, come se queste, appunto, debbano esser confinate allo straordinario, all’eccezionale.

Quando uno è scatenato, «non lo tiene più nessuno». In questo senso il verbo porta dietro sé modalità aggressive e violente, come quando ci si scatena contro qualcuno. Lo scatenato è colui il quale è senza moderazione ed anche fuori di sé, in preda a grande agitazione, ma per questa via può essere anche positivamente molto dinamico e vivace, come quando si dice che uno è scatenato sul lavoro.

Scatenanti sono quelle cause, quei fattori capaci di provocare il prodursi improvviso di effetti violenti o incontenibili, e qui spesso attingono il linguaggio medico e quello scientifico.

Scatenato comunque dal suo significato più immediato, il verbo scatenare è ricco di piacevoli sorprese e meritori intenti, perché riporta la mente a Prometeo o a Spartaco, ma anche a chi ci ha liberato dal vaiolo o dalla lebbra, ci ha restituito il diritto di votare o acquistare quello di farlo a 18 anni o anche se si è donne. La riporta alle barricate nella Parigi di fine Settecento e a cosa lì abbiamo conquistato, o a Galileo che ha svincolato il moto dei pianeti e di chi li popola dalla volontà di dio. E la rende – lei, la mente – capace di librarsi libera e priva di catene, lacci e lacciuoli, perché non è detto che a tutti piaccia il bondage. Né a letto, né altrove.

 

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