LA PAROLA

Scugnizzo

«In gergo, questi ragazzi, che si avviano spensieratamente per la strada delle carceri e del domicilio coatto, vengono denominati scugnizzi». Questa affermazione sembra voler essere la conferma – da parte di Ferdinando Russo, giornalista e poeta napoletano che nel 1897 pubblicò una poesia in diciassette sonetti dal titolo e scugnizze – che la circolazione gergale del termine ebbe inizio proprio in quegli anni nell’ambito di contesti poco puliti tra cui anche quello della camorra.

Questo porrebbe nel dubbio, ma non del tutto, la presunta origine neolatina della forma dialettale, secondo la quale l’etimologia derivi dal verbo excunere, ovvero “spaccare”. Nella fattispecie il riferimento sarebbe da ricollegarsi al gioco dello “strummolo” dove per excunere si intendeva il riuscire a conficcare la punta metallica di uno di quegli oggetti nella parte in legno di un altro durante la sua roteazione. Abilità tipica dei ragazzini napoletani che passavano molto tempo per strada a misurare le proprie capacità attraverso il gioco, ma non solo.

Secondo la definizione di Russo quindi, lo scugnizzo è un ragazzino, nato e cresciuto nel cuore della malavita napoletana e costretto a confrontarsi molto presto con le difficoltà di una vita dura e difficile, sviluppando, per difesa, ma anche per sopravvivenza, spiccate attitudini alla frode, all’imbroglio, così come all’autosufficienza, all’autonomia ed alla resistenza.

Del resto, proprio l’attiva partecipazione di un gruppo di ragazzi fuggiti dal riformatorio all’insurrezione che dopo il 28 settembre 1943, quando alcuni marinai italiani vennero fucilati, in soli quattro giorni consentì la liberazione di Napoli dai nazisti, testimonia questo lato dello scugnizzo. Gennarino Capuozzo, che guidava quei “guappi” da poco non più in fasce, ne è diventato il simbolo, grazie anche all’indimenticabile rappresentazione che ne fece il piccolo Domenico Formato nel film di Nanni Loy Le quattro giornate di Napoli (1962).

Quella figura – ispirata ed alimentata dal mito di Masaniello, ribelle quando di anni ne aveva già 27 anni e giovane tuttavia era ancora – la si ritrova non solo nell’episodio napoletano di Paisà (1946) diretto da Roberto Rossellini o, trasferita di luogo sempre da Rossellini, in Roma città aperta (1945), ma anche in C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone, e più nel piccolissimo Dominic, interpretato da Noah Moazezi che nei giovani Noodles, Patsy, Cockeye e Max.

La convinzione generale che gli scugnizzi potessero, anzi, dovessero, essere “recuperati” sul piano sociale e soprattutto umano – data la loro giovane età e quindi data la loro innocenza rispetto al ruolo che gli veniva attribuito – ha fatto si che nei confronti di questi giovani “malandrini” e “teppistelli” nascesse un sentimento affettivo, una sorta quasi di ammirazione e tenerezza, anche per il loro particolare modo di porsi, di gesticolare, di ostentare fragilità attraverso la loro stessa forza, tanto che il termine acquisì, nel corso delle successive trasformazioni sociali, una connotazione positiva, quasi di compiacimento nei confronti di tutti i ragazzini un po’ abbandonati a loro stessi che reagivano alla solitudine con modi irriverenti, scanzonati, turbolenti, ineducati, impertinenti ma mai, per questo volgari.

Uno scugnizzo era, nella realtà e poi nel successivo immaginario letterario ed anche teatrale, vestito di stracci, sempre un po’ scomposto e con il viso nero di polvere, ma dagli occhioni vivaci e penetranti, bello nel suo stile/non stile, nella sua poca conformità rispetto alle esigenze educative che da un fanciullo di quel periodo pretendevano modi ossequiosi nei confronti del mondo adulto.

«Scugnizzo!» si diceva quindi, e si dice ancora oggi, affettuosamente anche al ragazzino che reagisce al rimprovero con una pernacchia, che mostra da subito intolleranza rispetto alle regole, che volutamente predilige un abbigliamento sciolto per divertirsi all’aria aperta, che sfugge abilmente al controllo dei genitori, ma anche che per istinto protegge i più deboli, si fa leader per portare avanti i suoi primi acerbi ideali di autonomia e libertà.

Scugnizzo è oggi un termine riconosciuto universalmente in tutta Italia che viene utilizzato sempre con un certo rispetto anche nei confronti di giovani che loro malgrado hanno fatto scelte sbagliate, quasi a giustificarli, ed allo scopo di instaurare con loro una forma di complicità che li faccia sentire accettati, perché in quel termine si racchiude una definizione che non è un giudizio.

Esempio di questo pensiero può essere considerato il film Scugnizzi (1989) anch’esso di Nanni Loy del che racconta proprio la storia di alcuni giovani detenuti del carcere minorile di Nisida ai quali si vuole donare una possibilità non solo di recupero, ma anche di rivalsa nei confronti della vita, attraverso le emozioni che la musica sa molto bene infondere. Il film fu così gradito dal pubblico e dalla critica che Claudio Mattone lo riprese per farlo diventare un musical di enorme successo nel 2002 e poi successivamente ancora nel 2010.

Nella sua integrità l’opera musicale è riuscita molto bene a tradurre in termini di sound l’anima ed il folklore che ruotano intorno alla figura popolare dello scugnizzo. Più rappresentativa di tutte le canzoni potrebbe essere proprio Arrangiammoce, perché lo scugnizzo trascina con se anche una filosofia di vita con la quale spesso viene identificato il napoletano tipico, che si traduce comunemente nella famosa “arte di arrangiarsi”.

L’errore di fondo che spesso viene però commesso è quello di associare questa forma di sopravvivenza a concetti negativi come il lassismo e il menefreghismo. Tutt’altro. L’arte di arrangiarsi, quella degli scugnizzi veri, nasce dalla solitudine, si forma con il sacrificio, si nutre di solarità, e quando tutto sembra andare per il verso sbagliato preferisce una allegra e colorata rumba in compagnia, rispetto ad un asettico studio di psicanalista. Da questa particolare “gioia di vivere nonostante tutto” sono nate canzoni popolari molto rappresentative tra cui val la pena ascoltare la famosissima Rumba degli scugnizzi di Raffaele Viviani, cantata dalla Nuova compagnia di canto popolare.

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