Leggendo i dati, e sono del 2015, la sensazione è che basta un attimo. Una disperazione in crescita che ci riguarda tutti, è la tragica realtà dell’esercito dei senzatetto che, in Italia, secondo l’Istat sono 50.724, Ma la rilevazione conta soltanto gli homeless che hanno utilizzato servizi di mensa o di accoglienza notturna e quindi non tiene in considerazione una cospicua fetta di “invisibili”. È povertà. È disperazione. È degrado. Ed è rischio. È il segno di città italiane che sentono la crisi e con minori margini di sicurezza.
I senza fissa dimora di nazionalità italiana al 2015 erano 21.259, mentre nel 2011 erano 19.325, e 7 su 10 prima di ridursi a vivere per strada disponevano di una casa. Una situazione da cui diventa sempre più difficile emergere, e infatti rispetto al 2011 aumenta la quota di chi è senzatetto da più di 2 anni (dal 27,4% al 41%) e da più di 4 (dal 16% al 21%). Un quadro desolante che vede coinvolte tutte le grandi città italiane.
Pur girando la testa dall’altra parte, questa è una realtà quotidiana sotto i nostri occhi in costante crescita. La perdita del lavoro, la separazione dal coniuge o dai figli sono gli eventi più rilevanti di un percorso che porta alla condizione di senza dimora.
I senzatetto vivono in maggioranza da soli, ma il 66,7% ha contatti con i familiari (nel 2011 erano il 70%). L’aumento dell’emarginazione è certificato dalla quota di clochard che non ha più nessun tipo di rapporto con la famiglia: sono il 33,3% (erano il 29,7% nel 2011). Le donne rappresentano il 14,3% dei senza dimora, ma vivono più spesso da sole in confronto al passato. Una situazione che le espone ad una maggiore insicurezza rispetto ai maschi, con rischi concreti di subire violenze o di doversi prostituire. Qualcuno li ha definiti «abitanti del nostro mondo che sembrano appartenere ad un altro»
Non avere una casa è destabilizzante, e spinge l’individuo all’esclusione sociale; senza una casa risulta impossibile mantenere un lavoro, delle relazioni affettive e un’adeguata igiene personale. L’impossibilità di avere uno spazio privato comporta una profonda ristrutturazione del sé, perché tale condizione non permette di separare il sé privato dal mondo se non con la pelle:
«Non avendo che la pelle come separazione fra pubblico e privato, essi possono nascondersi occultando ciò che di ultimo e prezioso possiedono, la pelle, dato che gli è stata negata ogni tipo di dimensione privata. La sporcizia diventa una maschera. Il vestito non ha solo un’utilità materiale, non serve solo a coprire il freddo, altrimenti non ci spiegheremmo la ragione della sovrabbondanza di cappotti su un corpo nudo con 40 gradi all’ombra».(Bonadonna)
Come spesso accade, l’assistenza e il soccorso sono demandati al volontariato che si prodiga ogni notte a distribuire coperte e bevande calde. Spicca tra tutte la Comunità di Sant’Egidio, da sempre impegnata nell’assistenza ai senzatetto; a lei si deve un’inziativa che ci coivolge direttamente come cittadini. Si tratta di una app contenente gli indirizzi dell’accoglienza e della solidarietà, una guida su dove indirizzare un povero per dormire, mangiare, lavarsi. Ovviamente hanno previsto anche il formato cartaceo che i volontari distribuiscono ai senzatetto.
Ma qua e là ci sono anche esempi virtuosi in cui compaiono azioni della Pubblica Amministrazione, come accade a Milano dove si sperimenta un nuovo modo di accogliere i senzatetto. Un’iniziativa del Comune che, attraverso una gara, ha affidato all’associazione City Angels l’area di proprietà di Sogemi per trasformarla in un villaggio solidale.
Quello che appare chiaro è che le politiche devono alzare l’asticella dei propri obiettivi, trasformando le risposte che, troppo spesso, sono soltanto di tipo emergenziale. Qui si tratta di mettersi in condizione di intercettare il disagio economico e abitativo prima della sua cronicizzazione, attraverso un’opera di prevenzione sociale che sia capace di identificare i processi che conducono verso la povertà e l’esclusione.
L’assistenza e il soccorso sono, ovviamente, il primo e fondamentale elemento della rete di servizi ma la reale efficacia passa attraverso un livello d’intervento più strutturato che possa rappresentare una porta di accesso a un secondo livello più specializzato. Intercettare immediatamente il bisogno e intervenire selettivamente mette in moto un circolo virtuoso con vantaggi rilevanti in termini di riduzione dei costi diretti e indiretti, privati e sociali. Il primo passo per intervenire in maniera efficace su questa fascia della popolazione rimane la conoscenza approfondita del fenomeno, invisibile ai più.
Restiamo umani.