LA PAROLA

Sindacato

Ai bei tempi, quelli delle origini – come ben ricorda il sito Strisciarossa – il sindacato era qualcosa di epico e rivoluzionario, con Giuseppe Di Vittorio che, nei campi, reclutava i braccianti uno per uno. «Ciascuno di quei lavoratori era solo e ha trovato un sindacalista che gli andava incontro». Benito Mussolini nel 1926 i sindacati li abolì, oggi c’è un tal candidato premier, Luigi Di Maio, che asserisce senza mezzi termini di voler «mettere a posto lui i sindacati quando sarà al governo».

O tempora o mores, verrebbe da dire. Certo è che la popolarità dei sindacati, tutti si potrebbe dire, non è all’apice di questi tempi. C’è chi, senza mezzi termini, li considera una casta di privilegiati, altro che difensori dei diritti dei lavoratori. Certo essere all’altezza delle sfide per un sindacato, tra globalizzazione, parcellizzazione del lavoro, diritti e nuove tecnologie, è un’impresa. Che spesso appare quasi disperata.

La parola sindacato deriva dal greco Sin (insieme) e Dikè (giustizia). Il sindacato è dunque un’organizzazione privata ispirata alla giustizia sociale, che rappresenta i lavoratori e ne tutela gli interessi collettivi e individuali. Il sindacato è uno dei figli, nato ai tempi della prima industrializzazione, di cui il movimento operaio va più orgoglioso. Cresciuto ai fianco dei partiti politici e caratterizzatosi sulla base delle differenti situazioni politico-economiche dei vari paesi.

Le trade unions, in Gran Bretagna, furono le prime vere forme di rappresentanza sindacale. Erano gli anni della rivoluzione industriale, i primi decenni del 1800: avevano l’obiettivo di rendere meno disumane le condizioni di vita dei lavoratori nelle fabbriche. Rapidamente i sindacati si diffusero in Belgio, Austria, Spagna, Francia, Germania. Più crescevano numericamente e si espandevano come potere contrattuale, maggiormente venivano avversati.

In Italia, dopo l’epoca delle Società di mutuo soccorso, attorno al 1870 si formarono le associazioni, “leghe di resistenza”. Nel 1890 a Torino nacque la Prima Camera del Lavoro. Nel 1901 ecco due tra le più importanti federazioni: quella degli operai metallurgici, la Fiom, e quella dei lavoratori della terra, la Federterra. Il   1°   ottobre   1906,  su   proposta   della   Fiom,   nacque   a   Milano   la Confederazione   generale   del   lavoro   (CGdL),   che   riuniva   le   strutture orizzontali territoriali, ovvero le Camere del lavoro, e le strutture verticali, ovvero le federazioni di categoria. Il resto è storia più recente: le vessazioni subite dal fascismo, il contributo alla ricostruzione nel secondo dopoguerra, il protagonismo durante il miracolo economico, le grandi mobilitazioni nel biennio 1968-69, l’approvazione dello Statuto dei lavoratori nel 1970, la grande crisi degli anni ’80, le divisioni, la perdita di identità e di rappresentanza di inizio nuovo secolo.

Condivisibile, anche rispetto al sindacato, ciò che scrive Ezio Mauro a proposito della sinistra italiana: «Manca la consapevolezza della frattura tra il mondo compatto del Novecento e l’universo frammentato della globalizzazione, che cancella le classi ma trasforma le disuguaglianze in esclusioni, rompendo l’alleanza storica tra capitalismo, welfare e democrazia rappresentativa, dunque mettendo in gioco il nocciolo stesso dell’identità politica dell’Occidente».

Dunque, quale ruolo e futuro per il sindacato? Personalmente, abbiamo una sola certezza: di un sindacato vero, rappresentativo, capace di tutelare giovani, donne, anziani, lavoratori e categorie deboli; di rappresentare e difendere gli interessi di tutti, senza lasciare indietro nessuno, c’è un gran bisogno.