LA PAROLA

Temperanza

Termine desueto, occorrerebbe riappropriarsene in senso contemporaneo. Bellissimo dal punto di vista etimologico, il dizionario ne dà questi significati:

  1. f. [dal lat. temperantia, der. di temperarenel senso di «moderarsi, osservare la giusta misura»; nei sign. ant., è tratto direttamente da temperare]. – 1.a. Nell’etica classica, virtù che permette l’uso equilibrato dei piaceri corporei, conformemente alla retta ragione; nella teologia cattolica è una delle quattro virtù cardinali; nell’uso comune è intesa soprattutto come moderazione nel cibo e nelle bevande: non ha t., non conosce la t.a tavola ci vuole temperanza. b. Con sign. più ampio (non com.), moderazione in genere: ci vuole t. anche nel puniret. di linguaggio. 2. ant. a. Il fatto di temperare, di attenuare: Io vidi già … la faccia del sol nascere ombrata, Sì che per temperanza di vapori L’occhio la sostenea lunga fïata (Dante). b.Temperatura. c. Temperamento, come costituzione e indole.

Come si deduce da recenti comportamenti “trasversali” la temperanza non sembra di questo mondo. Solitamente consideriamo il termine temperanza legato alla teologia, essendo una delle virtù cardinali. Eppure, temperanza è l’essere in grado di comportarsi civilmente, ricevere, restituire e, infine, propagare, la tolleranza, il distacco rabbioso dalla realtà, l’ipocrisia della politica, abrogare il linguaggio consueto della politica.

Secondo il senatore Luigi Bobbio: «Forse è la temperanza la più dimenticata delle quattro virtù cardinali. Un sostantivo e un aggettivo – temperato – che sono praticamente scomparsi sia nei media che nella comunicazione interpersonale». Che cosa si voleva dire una volta con questo termine?
Tutti ne abbiamo una qualche esperienza. Ad esempio, quando versiamo un po’ d’acqua in un bicchiere di vino vuol dire che lo stiamo temperando, rendendo meno alcolico.

Temperare, dunque, vuol dire “tagliare”, ridurre, accorciare, equilibrare. Potrebbe anche risultare utile ricorrere all’immagine plastica del “temperino” che usavamo quando eravamo bambini per temperare la matita. Allora, a partire da questi ricordi, arriviamo a dire che la virtù della temperanza corrisponde all’essere capaci di “affinare” il nostro modo di vivere, di evitare gli eccessi e le passioni, le distorsioni e le spigolosità. In concreto, possedere la virtù della temperanza significa saper praticare la moderazione, ossia la regolazione delle tendenze volte ora al piacere e alla concupiscenza, ora al dolore e al vittimismo. Oppure all’ira e alla ribellione.

Non è affatto semplice però vivere quotidianamente la temperanza perché occorre saper trovare la giusta misura in ogni cosa. In medio stat virtus dicevano gli antichi. Oggi prevalgono invece gli estremi, i toni forti, le scelte eclatanti. Oppure accade che la moderazione, un tempo considerata una virtù, si trasformi in puro moderatismo. Con il rischio che in politica i cattolici vengano spesso identificati con i “moderati”, fino ad apparire una componente quasi rinunciataria e votata all’accidia invece che una presenza profetica, consapevole di essere “segno di contraddizione”. Diceva l’onorevole Giorgio La Pira con la sua disarmante franchezza che il moderatismo sta alla moderazione come l’impotenza alla castità.

La riscoperta della virtù della temperanza può inoltre diventare un antidoto efficace al dilagare del consumo sfrenato e dell’edonismo senza limiti. Avere il senso della misura nella società dell’abbondanza viene infatti ad assumere un preciso valore etico e politico; per cui la temperanza si presenta come essenzialità, equilibrio, armonia, semplicità. O forse, in modo più efficace, si potrebbe dire che sobrietà è il nuovo nome della temperanza.

Sobrietà, infatti, nel tempo dell’eccedenza e del superfluo, è la capacità di distinguere i bisogni reali da quelli indotti, e dunque di controllare i propri desideri. Sobrietà è disponibilità alla condivisione dei beni, senza egoismo e sprechi. È il simbolo di un nuovo stile di vita che ci viene richiesto con urgenza dalla crisi ecologica del nostro pianeta. In questo senso, la temperanza è chiamata a diventare anche una virtù civile, un valore condiviso da tutti i cittadini e non soltanto dai cristiani; anche se questi ultimi dovrebbero sentire il dovere di darne pubblica testimonianza attraverso il loro stile di vita.

Si fa strada sempre di più la convinzione che solo un modello di sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile potrà consentire una nuova “fioritura umana”, valorizzando non solo la disponibilità di beni ma anche la creatività, la vita relazionale e spirituale. Qualcosa di nuovo arriva fino a noi attraverso il diffondersi di parole come consumo critico, cioè il preferire acquisti di marchi non compromessi con azioni contro gli uomini e l’ambiente; commercio equo, ovvero l’acquisto di merci prodotte da persone che hanno percepito un giusto salario; finanza etica, per la quale si scelgono prodotti di risparmio finalizzati a creare valore sociale.

Una rivoluzione silenziosa sta prendendo forma non attraverso le urne elettorali, ma con il plebiscito quotidiano dei consumatori. Se la temperanza farà breccia nei templi del consumo e del risparmio, finirà per cambiare lo stile di vita nostro e delle nostre città”.

Il suo contrario, intemperanza, indica gli atteggiamenti scostanti, esagerati, “sopra le righe” al punto da destare irritazione e suscitare disgusto. Pensiamo, ad esempio, alle intemperanze nell’uso dei beni materiali, in particolare del denaro, e nell’uso del potere.

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