LA PAROLA

Vaccino

L’aggettivo deriva dal latino vaccinus, di vacca, e, per estensione, di animale bovino in genere. Vaccino infatti può essere il latte, il formaggio, vaccina la ricotta, la carne, distinguendo così tali prodotti dagli analoghi di provenienza non bovina. Allo stesso modo si distingueva, in passato, il vaiolo vaccino da quello umano per differenziare le due malattie, e proprio da qui prende origine il significato del termine usato invece come sostantivo, vale a dire, riportando dal dizionario Treccani: «Preparazione per uso parenterale o orale rivolta a indurre nell’organismo la produzione di anticorpi protettivi che conferiscano una resistenza specifica nei confronti di una determinata malattia infettiva (virale, batterica, protozoaria)».

Nonostante fin dai tempi di Tucidide fosse stato osservato come le persone sopravvissute a certe malattie contagiose risultavano resistenti a esse nel caso di un nuovo contatto, tanto che usualmente si occupavano poi della cura di coloro che le contraevano, e nonostante i primi tentativi fallimentari di immunizzazione attraverso varie procedure di cui si ha testimonianza sia in Europa che in alcune popolazioni orientali, bisognerà aspettare il 1798 e il medico inglese Edward Jenner per la prima vaccinazione vera e propria.

Jenner partendo da un’osservazione empirica, cioè dal fatto che nelle campagne i mungitori venuti in contatto con mucche affette da una malattia pustolosa (il vaiolo vaccino o cowpox) erano protetti dal vaiolo, iniziò a inoculare nell’uomo il materiale “scarificato” dalle pustole delle vacche, dando inizio così alla pratica della vaccinazione. Pur non comprendendo il perché la vaccinazione fosse efficace – la complessità dei meccanismi immunitari venne gradualmente svelata solo tra la fine del XIX secolo e i primi due decenni del Novecento – i risultati riproducibili di Jenner convinsero le autorità britanniche ad adottarla su larga scala a scopo preventivo. I risultati furono straordinari, e già dai primi anni del XIX secolo si assistette a un notevole calo della mortalità per vaiolo in Europa.

Da allora molta strada è stata fatta; ai vaccini classici ottenuti da sospensioni di microrganismi patogeni uccisi, o vivi ma attenuati, oppure da particelle immunogene purificate, come le anatossine e i polisaccaridi batterici, si sono affiancati – grazie ai progressi nel campo della biologia molecolare (tecnica del DNA ricombinante, potenziamento dell’immunogenicità, ecc.) – i cosiddetti vaccini “intelligenti” o vaccini sintetici, costituiti in genere da catene peptidiche con specifica attività antigenica ottenute in laboratorio e inserite in una proteina di trasporto che imprime al prodotto un potere immunogeno.

Grazie alla pratica della vaccinazione il virus del vaiolo è stato del tutto eradicato (l’ultimo caso in assoluto è stato segnalato nel 1977), la poliomielite è in drastica diminuzione con vaste aree nel mondo dichiarate dall’OMS esenti dalla malattia, e per diverse altre patologie sono stati fatti grandi passi in avanti nel contenimento dei nuovi casi. Attualmente sono allo studio vaccini sempre più sofisticati che promettono una maggiore sicurezza ed efficacia, facilità di somministrazione (vaccini commestibili), e, non ultimo, il loro potenziale utilizzo contro malattie non infettive come le neoplasie.

Più controversi, invece, risultano gli aspetti riguardanti l’obbligatorietà dei vaccini in Italia. È già storia la vicenda risalente al 1991, chiusa con la condanna degli interessati – l’allora Ministro della Sanità, Francesco De Lorenzo, insieme al responsabile del settore farmaceutico del ministero, Duilio Poggiolini – in cui si accertò che la decisione di rendere obbligatorio in Italia il vaccino contro l’epatite B era stata preceduta dal pagamento di una tangente da 600 milioni di lire da parte dell’azienda Glaxo-SmithKline, unica produttrice del vaccino in questione.

Mentre invece è cronaca recente quella riguardante la polemica nei confronti della decisione dell’attuale ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, di aumentare il numero dei vaccini obbligatori per legge, per bambini e ragazzi da 0 a 16 anni, dagli attuali quattro fino a un minimo di nove e a un massimo di 12 a seconda delle fasce d’età (stando alle ultime modifiche del decreto), accompagnata da una rumorosa quanto controproducente querelle tra vaccinisti e anti-vaccinisti.

Senza entrare nel dibattito, per il quale esistono sedi appropriate, meriterebbe invece fare una riflessione sull’opportunità o meno di fare ricorso alla coercizione in tema di aspetti così legati al bene comune. Forse l’obiettivo, prima ancora della promozione della salute, dovrebbe essere quello di rendere i cittadini attivi e consapevoli e questo passa non solo tramite un’informazione corretta, puntuale e adeguata – la buona comunicazione – ma soprattutto attraverso la buona pratica e la buona politica. Ma per debellare certi nostri cattivi costumi probabilmente bisognerà aspettare un vaccino.