LA PAROLA

Vacuità

Facile e tentatore usare il limitato significato che ne dà la lingua italiana, volendo associare i sensi figurati del termine alla inconsistenza degli attuali e miserandi personaggi politici.
Vacuità s. f. [dal lat.vacuĭtas -atis, der. di vacuus «vuoto»]. – Il fatto, la condizione di essere vuoto. Più comune nel senso figurato di povertà assoluta di capacità intellettuale,e ancora:
Privo, povero di contenuto, idee, sentimenti
Privo di consistenza, futile
Privo di fondamento, vano
Occhi vacui, senza espressione
Promessa vacua, destinata a non essere mantenuta.

Ma la lingua italiana è tanto ricca quanto sbrigativa, più per necessità utilitaristiche che per superficialità, e tocca ad ognuno prendersi la briga di approfondire.
Ed ecco che «Vacuità», questo Vuoto, assume altri toni, altri colori.
Ciò che è pieno è incredibilmente vuoto, ciò che è vuoto è incredibilmente pieno
Scomponiamo questa affermazione che ci arriva direttamente dalla Fisica e non dalla Filosofia: «Ciò che è pieno è incredibilmente vuoto». Alla luce della Fisica attuale ogni oggetto materiale è costituito da molecole, ogni molecola da atomi, ogni atomo da elettroni e da un nucleo, ogni nucleo da nucleoni [protoni e neutroni] e così via fino al sempre più piccolo anche nell’oggetto più solido, anche nell’oggetto più denso, tra molecola e molecola c’è il vuoto; all’interno della molecola, tra atomo e atomo, c’è il vuoto; all’interno dell’atomo, tra elettroni e nucleo, c’è il vuoto; all’interno del nucleo, tra i vari protoni e neutroni, c’è ancora il vuoto. Tutto ciò che ai nostri sensi appare solido, in realtà porta in sé enormi spazi vuoti.

«Ciò che è vuoto è incredibilmente pieno». Ebbene, secondo la Meccanica Quantistica, il “vuoto” non è affatto vuoto, anzi è inconcepibilmente “pieno” dal momento che in esso continuamente si creano tutte le particelle possibili, in esso continuamente nascono elettroni, protoni, neutroni, fotoni [luce!]; esso, il “vuoto”, è perciò il germe di tutte le cose! Dal vuoto, onnipresente, emergono, affiorano, vengono all’esistenza continuamente ed incessantemente materia ed energia, in tutte le forme e quantità concepibili. Ogni cosa, letteralmente ogni cosa si possa immaginare, nasce continuamente dal “vuoto”, vive la sua vita, e muore tornando al “vuoto”. Vitalità e Impermanenza, ovvero, niente è per sempre. E prima impariamo questo concetto fondamentale, caro al Buddhismo, tanto prima impariamo ad utilizzare al meglio il nostro tempo. Sempre il Buddhismo ci dice la sua sulla Vacuità producendo una vera e propria teoria filosofica.

A chi non è capitato di svegliarsi con una sensazione di vuoto che non sa spiegare, dove più nulla sembra degno di importanza. È difficile conviverci perché, da occidentali, non siamo abituati a fare spazio, ci è più congeniale riempire. Sentirsi vacui, secondo la concezione occidentale, è spiacevole perché il vuoto è destabilizzante. Eppure la vacuità è elemento centrale della dottrina buddista che in essa riconosce una fonte di liberazione anziché una forma di nichilismo. Liberazione progressiva dall’egocentrismo. La vacuità, aiuta a comprendere che, essendo tutti i fenomeni interdipendenti, l’Io non può essere indipendente da tutto, come appare in una prospettiva egocentrica, ma è prodotto di tante altre cose, esiste in una rete di relazioni in continuo cambiamento. L’egocentrismo risulta pertanto illusorio per quanto appaia solido, inducendoci a difenderlo strenuamente poiché inconsapevoli dell’inesistenza di un sé intrinseco. Nella terminologia Sanscrita il termine Vacuità si esprime con SHUNYA o SHUNYATÀ, che letteralmente significano Vuoto e Vuotezza. Questo Vuoto si riferisce esclusivamente alla caratteristica “vuota” dello spazio che quindi, proprio per questa ragione, può accogliere in sé la “piena” possibilità della manifestazione.

Quindi la Vacuità, grazie al vuoto, libera spazio per la manifestazione delle possibilità: una vacuità gravida di potenzialità.

«Trenta raggi s’incontrano nel mozzo della ruota e in quel che è il suo vuoto sta l’uso del carro. Si tratta l’argilla e se ne foggia un vaso e in quel che è il suo vuoto sta l’uso del vaso. Si forano porte e finestre per fare una casa e in quel che è il suo vuoto sta l’uso della casa. Perciò dal pieno viene il possesso, dal vuoto viene l’utilità».

Dao-de-jing, cap. XI

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