DIRITTI & DOVERI VISIONI

Votare e astenersi: cosa dice la legge

Durante il fascismo – che, più o meno manifestamente, qualcuno vorrebbe riproporre, se non altro facendo propri i pregiudizi razzisti che quel regime dittatoriale sancì con le leggi varate nel 1938 a danno della popolazione ebraica ed altri provvedimenti applicati in Italia fino al 1945 – non si poteva votare.

Il fascismo definiva “Ludi cartacei” le elezioni e le soppresse, cancellando, insieme al diritto di associarsi in partiti, la libertà di espressione e di stampa. Nel 1925 il potere esecutivo passa completamente nelle mani di Mussolini che non deve più rispondere al Parlamento ma rimane responsabile solo verso il re. L’anno dopo al potere esecutivo viene data la facoltà di emanare norme giuridiche e viene istituito un “tribunale speciale”, ripristinata la pena di morte, il confino di polizia, rivolto in particolare agli oppositori politici.

La sua impronta totalitaria prevedeva un sistema politico dominato da un partito unico i cui vertici si identificano con le massime cariche del legislativo e dell’esecutivo.

Prima del fascismo, nello Stato liberale nato dal Risorgimento italiano, il diritto di voto era limitato per censo (suffragio censitario) o per cultura (suffragio capacitorio): nel 1861 il diritto di voto in Italia era riservato ai soli cittadini maschi di età superiore ai 25 anni e di elevata condizione sociale. Nel 1881 fu esteso anche alla media borghesia e il limite d’età abbassato a 21 anni. Su proposta di Giovanni Giolitti il Parlamento approvò nel 1912 l’estensione del diritto di voto a tutti i cittadini maschi a partire dai 21 anni di età che avessero superato con buon esito l’esame di scuola elementare e a tutti quelli di età superiore ai 30 anni indipendentemente dal loro grado di istruzione. Il suffragio universale maschile risale al 1918: allora furono ammessi al voto tutti cittadini maschi di età superiore ai 21 anni, nonché quelli di età superiore ai 18 anni che avessero prestato il servizio militare durante la prima guerra mondiale.

Le donne non avevano diritto di voto. Il voto a suffragio universale è stato introdotto solo nel 1945 (si legga a riguardo la storia di quel calvario di Giorgio Frasca Polara) con il varo della Costituzione repubblicana le cui modifiche sono state recentemente, invano, sottoposte a referendum. Ci sono volute le lotte studentesche iniziate nel 1968 perché solo nel 1975 anche i diciottenni potessero votare per la Camera (per il Senato bisogna averne 25) e fosse abbassata l’età in cui poter essere eletti nelle assemblee rappresentative del popolo italiano.

Diritti

L’articolo 1 della Costituzione dice che «l’Italia è una Repubblica democratica» e che «la sovranità appartiene al popolo». Esso «la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». La sovranità è il «potere originario e indipendente da ogni altro potere». Nessun altro, dunque, se non il popolo, può esercitarla: né un re, né un premier, né una classe sociale, né un manipolo di violenti autoritari.

Tutti i cittadini, dice l’articolo 49 della Costituzione, «hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Di più: «I cittadini – dice l’articolo 18 – hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale».

Il diritto dei cittadini di contare con il proprio voto all’andamento del Paese e all’orientamento delle due assemblee legislative cui è demandato il compito di rappresentare le loro volontà è racchiuso nell’articolo 48 della Costituzione, il quale afferma che «sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età». La legge che ha abbassato da 21 a 18 anni la maggiore età e quindi l’assunzione prima delle proprie responsabilità è stata approvata solo nel 1975 e, come per l’estensione del voto alle donne nel 1945, è costata battaglie, impegno, tenacia.

Il voto, dice ancora l’articolo 48 della Costituzione, «è personale ed eguale, libero e segreto». In questi aggettivi, su cui meriterebbe riflettere, è concentrato qualcosa di molto importante per ciascuno di noi, davvero ciò che è nostro diritto. Vuol dire che nessuno può esercitarlo al posto proprio, che ogni voto vale quanto quello dell’altro, non uno più dell’altro. Ed ancora che non può esserci coercizione nell’esprimerlo. Segreto non vuol dire che non lo si può esprimere pubblicamente: ma che non si è obbligati a farlo, qualora qualcuno intendesse venirne a conoscenza per subordinare il proprio atteggiamento nei nostri confronti in base appunto a come si è deciso di votare.

Il diritto di voto, conclude quell’articolo che comprende un paragrafo dedicato agli immigrati italiani all’estero – quelli che, come chi viene in Italia, sono dovuti andare altrove a cercare la propria sopravvivenza o fortuna –, «non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge». Tradotto significa che solo l’incapacità di intendere e volere dettata da una qualche menomazione o il proprio comportamento lesivo delle norme di convivenza ostacolano l’esercizio di questo diritto.

Il diritto di voto non è solo quello che assicura a un individuo la possibilità di manifestare la propria volontà durante un’elezione, ma anche quello di competere per essere eletti ed andare così a ricoprire un importante incarico nelle istituzioni. Si tratta del cosiddetto parallelismo dell’elettorato attivo e passivo, che è racchiuso negli articoli 48 (diritto di voto) e 51 (accesso alle cariche elettive) della Costituzione.

Il diritto di candidarsi a ricoprire cariche elettive è riconosciuto a tutti i cittadini italiani maggiorenni, ma è necessario aver compiuto 25 anni per la Camera e per il Parlamento europeo e 40 anni per il Senato.

& Doveri

L’articolo 48 della Costituzione, quello che sancisce l’inalienabilità del diritto di voto, dice espressamente che, al pari del dovere di contribuire mediante le tasse in maniera proporzionale al proprio tenore di vita, al funzionamento della comunità, l’esercizio del voto è un «dovere civico». È consentito astenersi, non recarsi alle urne, o infilare nell’urna una scheda bianca o scarabocchiata così che venga annullata, ma così facendo, pur non commettendo reato, si viene meno ad un dovere civico, come quello di cedere il posto sull’autobus ad una persona anziana, ad una donna incinta, ad un portatore di handicap.

Sul piano normativo non c’è alcuna conseguenza per chi non vota. Il voto è un diritto, non un obbligo, solo un «dovere civico». Il cittadino può rinunciarvi ogni volta che lo ritiene opportuno.

Nel 1993 è stata abrogata la norma, contenuta nell’articolo 115 del Testo Unico delle Leggi sulle elezioni varata nel 1957 che recitava: «L’elettore che non abbia esercitato il diritto di voto, deve darne giustificazione al sindaco. L’elenco di coloro che si astengono dal voto senza giustificato motivo è esposto per la durata di un mese nell’albo comunale. Per il periodo di cinque anni la menzione “non ha votato” è iscritta nei certificati di buona condotta».

Ora non è più così, non si è marchiati per non aver votato. Esiste la norma in base alla quale dopo tre volte che non si va a votare si perde il diritto al voto, ma ciò avviene solo per motivazioni gravi, come per incapacità civile, per effetto di una sentenza penale irrevocabile o per particolari casi di indegnità morale. Falso è che non si possa partecipare a concorsi pubblici, non avendo votato.

Tuttavia, non andando a votare, si rischia che gli altri decidano per noi: il non voto influisce sul risultato finale, perché per calcolare la maggioranza si considerano solo i voti validamente espressi, e non il totale degli aventi diritto. Lo stesso discorso vale per chi va a votare ma lascia la scheda bianca.

Paolo Grossi, presidente della Corte Costituzionale, nella sua relazione sull’attività nel 2017 parlando di fronte al Capo dello Stato e alle massime autorità ha rimarcato il dovere etico di andare a votare, sostenendo che l’astensione è un comportamento «non accettabile sul piano etico e sociale. Il voto è l’arma del popolo sovrano, parteciparvi è un dovere del cittadino. Si voti come si vuole, ma si voti». Senza esprimere un parere sulla legge elettorale ha aggiunto: «Il fatto che ci sia uno scollamento dei cittadini con le istituzioni, uno scontento dei cittadini su cui il potere politico dovrebbe fare di più, non è una giustificazione al non voto».

I diritti politici si perdono dinanzi ad una condanna per reati gravi: è l’interdizione dai pubblici uffici che può essere perpetua o temporanea, ed include la perdita del diritto all’elettorato attivo, a quello passivo e l’esclusione da ogni incarico pubblico. È quindi un dovere quello di non delinquere.

Trattando di doveri è bene ricordare che l’articolo 18 della Costituzione dice che se i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, sono tuttavia «proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare». È dovere quindi del cittadino astenersi da tali tipi di organizzazioni. Di più: la XIIa Norma transitoria e finale della Costituzione espressamente afferma che «è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».

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