LA PAROLA

Zuppa

La parola zuppa viene da lontano, dal gotico suppa, ovvero pane inzuppato, cambiato dai toscani in zuppa. È tipica del tardo autunno, che non è troppo lontano, e delle giornate fredde. La pronuncia della zuppa, aggettivo o sostanzantivo che sia, è tsuppa ma si ammette pure una bella z, pura, come iniziale.

Che si prenda per buona una pronuncia o l’altra, la stagione della zuppa sta tornando. Per ricorrere all’aggettivo, capiterà pure che qualcuna si ritrovi zuppa d’acqua sotto un temporale. Lo stesso per chi si ritrovasse zuppo, beninteso. L’aggettivo, volto al femminile o al maschile, è legato al sostantivo zuppa. Zuppa che non è altro che una minestra.

Sta di fatto che non ci s’inzuppa di sola acqua, da capo ai piedi, con gli abiti fradici. Per il periodo estivo, e per gli sportivi, c’è sempre il rischio di ritrovarsi zuppi di sudore. Zuppo è uno che di vino ne ha bevuto troppo. Zuppa e derivati sono parole per tutte le stagioni, in particolare per l’autunno e l’inverno. L’aggettivo, che può essere variato in inzuppato, risale al Cinquecento e non sembra derivare direttamente da zuppa sostantivo.

Torniamo alla zuppa (sostantivo), con un’avvertenza. Non chiamatela vellutata, neppure se ci mettete un po’ di pane dentro. Quella è un’altra cosa, più recente e d’importazione. La nostra zuppa, origine gotica a parte, c’è sempre stata, magari con un altro nome.

Altra avvertenza: zuppa può essere anche un insieme, mescolato, di oggetti, che crea disordine e confusione.  E una zuppa è pure un discorso lungo e noioso. Dare due zuppe vuol dire dare due scapaccioni; inzuppare il biscotto… be’, si capisce.

Sarà il caso, però, di sedersi a tavola, premesso che zuppata è l’immersione di un corpo (un biscotto, per esempio) in un liquido come il vin santo o il marsala. Va da sé che s’inzuppa anche per preparare dolci.

Zuppare significa inzuppare una fetta di pane. La zuppa nasce così; col pane inzuppato in acqua o brodo. Poi, largo alla fantasia e alle tradizioni di gran parte del mondo, pane o no. Dalle nostre parti, la zuppa più comune è quella di verdura, laddove il brodo scaturisce dagli ingredienti stessi. Già questa, con la pasta o senza, è una minestra. Oppure, più elaborata, un minestrone di verdura. Di fondamentale importanza, è il brodo. Un brodo, al di là dei sapori e degli aromi, comune a gran parte del mondo. In Romania c’è la ciorba (zuppa) de pui (pollo). E anche di fagioli. Altro esempio, assai conosciuto oggi, è il ramen proveniente dal Giappone.

La zuppa è una minestra che si presta alle cene domestiche, e non solo, in autunno inoltrato e in inverno. Mangiarla anche d’estate, certo, è pur possibile, magari fredda o sotto forma di pan molle. Il gazpacho dei paesi di lingua spagnola ne è un esempio, la panzanella toscana un altro, assai diverso. Non cambia moltissimo: «se non è zuppa è pan molle», o «pan bagnato» a seconda della latitudine, dice un vecchio adagio.

Presa spesso come un piatto a sé, privo di parentele, la ribollita è una zuppa. È parente stretta, pur variando assai sapore e ingredienti, della  zuppa con pane inzuppato in brodo di carne o di pesce, del minestrone di verdure, talora con una manciata di pasta, della zuppa di pesce e, è quasi ovvio, della pappa al pomodoro. Si potrebbe proseguire, in base ai gusti e agli ingredienti, col pane raffermo al primo posto, di zuppa in zuppa. E qui comprendiamo il cacciucco e il brodetto, le zuppe di legumi o di poca carne bianca. Il tutto a volontà, senza dimenticare, altra parola derivata, la zuppiera.

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