LA DATA

23 settembre 1985

Giornalista napoletano dalla “schiena dritta”, Giancarlo Siani viene barbaramente assassinato dalla camorra, a soli ventisei anni, il 23 settembre 1985. Davano fastidio le sue inchieste sulle perverse commistioni tra politica locale e criminalità organizzata. I suoi articoli sugli appalti pubblici per la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto dell’Irpinia del 1980 nei dintorni del Vesuvio risultarono pericolosi per qualcuno ai vertici della piramide camorrista, e fu decretata la sua esecuzione.

Per catturare i suoi assassini ci son voluti ben 12 anni e tre pentiti. Anche se, alcuni anni fa, le rivelazioni contenute in un libro-inchiesta di un altro giornalista napoletano,  Roberto Paolo, hanno fatto riaprire le indagini.

Dopo un apprendistato al mensile “Il Lavoro nel sud”, Siani cominciò la sua attività di corrispondente da Torre Annunziata per il “Mattino” di Napoli.  I rapporti e le gerarchie delle famiglie camorristiche che controllavano il comune e i suoi dintorni furono ben presto al centro delle sue inchieste. Fu in questo periodo che Siani iniziò anche a collaborare con “l’Osservatorio sulla Camorra”, periodico diretto dal sociologo Amato Lamberti. Rapidamente, il suo lavoro lo portò a diventare un esperto del mondo della camorra, dei boss locali e degli intrecci tra politica e criminalità organizzata, scoprendo una serie di connivenze che si erano stabilmente create, all’indomani del terremoto in Irpinia, tra esponenti politici oplontini e il boss locale, Valentino Gionta, che, da pescivendolo ambulante, aveva costruito un business illegale.

Circostanziate e ben documentate furono le sue inchieste in cui accusava i clan Nuvoletta e Bardellino di voler prendere il posto dei Gionta, tanto che gli costarono la vita. Il 23 settembre 1985 venne ucciso rincasando, mentre era ancora seduto in auto. Almeno due gli assassini: Siani fu colpito dieci volte in testa da due pistole Beretta 7.65mm: l’agguato avvenne alle 20.50 circa, sotto la sua abitazione, in via Vincenzo Romaniello, a pochi passi da piazza Leonardo, nel quartiere napoletano dell’Arenella.

Il 15 aprile del 1997 la seconda sezione della Corte d’Assise di Napoli condannò all’ergastolo i mandanti dell’omicidio (i fratelli Lorenzo e Angelo Nuvoletta, e Luigi Baccante) e i suoi esecutori materiali (Ciro Cappucci e Armando Del Core). In quella stessa condanna appare, come mandante, anche il boss Valentino Gionta. La sentenza è stata confermata dalla Corte di Cassazione, che però dispose per Valentino Gionta il rinvio ad altra Corte di Assise di Appello: si è svolto un secondo processo di appello che il 29 settembre del 2003 l’ha di nuovo condannato all’ergastolo, mentre il giudizio definitivo della Cassazione lo ha definitivamente scagionato per non aver commesso il fatto. Poi le nuove rivelazioni giornalistiche e la riapertura del caso.

Numerose ogni anno, le manifestazioni istituzionali e le attività nelle scuole in ricordo della figura di questo giornalista scomodo, vittima della criminalità camorristica: nel 2016, all’unanimità, gli è stata intitolata l’aula del Consiglio regionale della Campania.

Il fratello Paolo: «Giancarlo è diventato un simbolo, un esempio. Nei mesi successivi al delitto incontravamo difficoltà a parlare di camorra nelle scuole. Gli insegnanti ci dicevano: che c’entra la scuola con la camorra, non è cosa nostra. Oggi io non riesco ad andare in tutte le scuole che mi chiamano…».