Dal latino contagium, che deriva dal verbo contingĕre, toccare, essere a contatto, contaminare, indica la trasmissione di una malattia infettiva da una persona malata a una sana sia direttamente, sia attraverso materiali o mezzi inquinati, come aria, acqua, alimenti, escrezioni oppure attraverso insetti o animali trasmettitori dei microrganismi infettivi.
Ci sono persone attentissime ad evitare tutte le possibilità di contagio e trasmissione, ma il pericolo e la paura del contagio, periodicamente, si diffondono a livello sociale, in tutte le epoche e le società. Uno dei capisaldi della letteratura italiana, I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, si sofferma in più capitoli sul terrore del contagio e la leggenda degli untori che portavano, in quel caso, la peste bubbonica.
Il contagio spaventa ma, quasi morbosamente, affascina. Come dimostrano numerosi film e serie televisive, non ultima The walking dead, in cui per ragioni ancora da comprendere, i morti non muoiono ma diventano zombie: la trasformazione avviene a poche ore dal decesso o dopo essere stati morsi da un “non morto”, appunto.
Oggi di contagio si parla a ondate e in maniera, a volte, incomprensibile. Si ha paura di essere contagiati e contrarre malattie da anni assenti dal nostro paese e dalla maggior parte delle nazioni europee, solo perché si lascia varcare il confine a gruppi di stranieri.
Di contro, per parlare del rischio di contagio da virus dell’Hiv è necessario avvicinarsi alla giornata internazionale per la lotta all’Aids, celebrata il 1 dicembre di ogni anno, perché quello che era un tema dibattuto e noto per i giovani degli anni Novanta e Duemila, adesso è misteriosamente scomparso dalle agende di molti media e soprattutto di alcune istituzioni.
O ancora si parla di contagio e, in alcuni casi, lo si auspica, quando si affronta il tema dei vaccini per le malattie esantematiche e ci si imbatte in gruppi social di genitori che desiderano mettere a contatto i propri figli con altri bambini malati, per “togliersi il pensiero”, ed evitare i vaccini.
In senso figurato, poi, la parola contagio può essere utilizzata per descrivere, citando il dizionario Treccani, «l’influsso dannoso che l’esempio o il pensiero di alcuni possono esercitare su altri», suggestionando, dunque, infondendo stati d’animo, sentimenti, convinzioni.
E allora forse, di questi tempi, sono tornati gli untori. Che a differenza di quelle descritti dal Manzoni, non ungono con un liquido pestilenziale le soglie delle case, ma diffondo, sopratutto attraverso i social media, il virus dell’insicurezza. Che, si sa, si manifesta sempre nella paura irrazionale, malattia che di buono non ha mai portato niente.