LA PAROLA

Coraggio

«È normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti». Una frase normale, detta da un uomo coraggioso, Paolo Borsellino, ucciso, barbaramente massacrato dalla mafia, da assassini senza alcuna briciola di coraggio. Perché, come giustamente ricordava il Manzoni, «il coraggio, uno non se lo può dare».

Coraggio: cor habeo, ho cuore; dal latino, parola composta da cor, cordis, cuore, e dal verbo habere, avere. Virtù umana spesso associata alla fortezza (forza), di cui su TESSERE già s’è parlato.

Una persona generosa, altruista, compassionevole è “di cuore” . Ma il significato del coraggio è “nel cuore”, dove risiede la forza d’animo necessaria a sopportare con serenità e rassegnazione dolori fisici o morali, nel superare situazioni difficili o avvilenti, nell’affrontare pericoli e rischi, nello schierarsi per amore della verità e della giustizia.

In linea di massima, chi se ne intende distingue il “coraggio fisico”, di fronte al dolore fisico o alla minaccia della morte, dal “coraggio morale”, di fronte alla vergogna e allo scandalo. «Ho imparato che il coraggio – ha sostenuto Nelson Mandela – non è l’assenza di paura, ma il trionfo sulla paura. L’uomo coraggioso non è quello che non sente paura, ma colui che vince la paura».

Il lato oscuro del coraggio è rappresentato da sfacciataggine, sfrontatezza, spudoratezza, spavalderia, arroganza, impudenza, presunzione. Il coraggio ha molti volti, sta a noi svelare quelli che possediamo. «È curioso che il coraggio fisico sia così comune nel mondo e quello morale è così raro», scriveva Mark Twain.

Tra i più apprezzabili, c’è il coraggio di avere la schiena dritta, nel sostenere e difendere le proprie opinioni e azioni per il bene pubblico, per il vero e il giusto. C’è il coraggio civile di assumersi le proprie responsabilità, di riconoscere i propri errori. È contagioso, o quantomeno trasmissibile, il coraggio, affiancando persone o amici in difficoltà, esortandoli a reagire o a perseverare.

Chi vuole diventare coraggioso – spiegano i filosofi – abbandoni il pensiero che le cose vanno sempre allo stesso modo e non si  adagi nell’abitudine e si perda nella paura di rischiare, ricordando che «anche al migliore prima o poi tocca la sconfitta ma che si rialza, analizza la situazione, apporta le opportune variazioni di strategia e riprende il proprio cammino».

Non si compra o si vende al mercato il coraggio, ma lo possediamo (dovremmo) coltivare tutti, sin da piccoli. Chi più coraggioso di un bambino che abbandona la mano della mamma e muove i primi passi da solo?

Il coraggio della responsabilità, il sapersi assumere le conseguenze del proprio agire, ha segnato le tappe del nostro progresso, dell’affermazione dei diritti delle donne e degli uomini e, in molti paesi, della civiltà.

Papa Francesco è di altissimo esempio quando dice: «Abbiate il coraggio di essere felici. Bisogna sapersi perdonare. Tutti abbiamo difetti e a volte facciamo cose che non sono buone. È necessario usare tre parole per essere coraggiosi: permesso, grazie e scusa».

Forza, autoironia, bellezza, ma soprattutto simbolo di coraggio: questa è Beatrice Vio, meglio conosciuta come Bebe, una delle atlete paralimpiche italiane più famose e amate. Dal 2011 ha vinto praticamente tutti i tornei di scherma più importanti a livello europeo e mondiale, nonostante sia la prima schermitrice al mondo a gareggiare con protesi a tutti e quattro gli arti. E ha l’incommensurabile coraggio di essere sempre sorridente, dentro e fuori.

E poi, in fondo, Charlie Brown aveva capito tutto da tempo: «Tra il dire e il fare, c’è di mezzo il coraggio…».