LA PAROLA

Disfatta

La disfatta non è una sconfitta. È una disastrosa capitolazione.

Non a caso la parola indica disgraziatissime operazioni militari, in cui si parte per stravincere e si finisce per buscarne alla grande. Solo in un secondo tempo il termine verrà usato anche nello sport e nella politica, come tangibile prova di un grandissimo fallimento di un’impresa, tanto da restare negli annali.

È la Grande Guerra e il generale Luigi Cadorna si ostina a non voler prendere sul serio le informazioni, secondo le quali si starebbe preparando un pesante bombardamento contro le linee italiane sull’Isonzo, convinto che si tratti invece di una simulazione per distogliere l’attenzione dal fronte carsico. All’alba del 24 ottobre 1917 gli austriaci, appoggiati da sette divisioni tedesche, attaccano e sfondano le linee italiane, dando il via a una grandiosa offensiva che sancirà la più disastrosa sconfitta del Regio esercito, dopo una lunga e drammatica ritirata che si fermerà soltanto al di là del Piave. Da allora Caporetto e la parola disfatta parlano la stessa lingua, quella di una capitolazione schiacciante.

Anche l’esercito anglofrancese avrà la sua Caporetto con la battaglia di Dunkerque, nella seconda Guerra mondiale, quando i tedeschi occuperanno la Francia e schiacceranno le forze alleate tra la costa di Calais e quella di Ostenda.

Eppure dopo Cadorna sarebbe arrivato Armando Diaz e con lui la tanto sospirata vittoria, come dopo Dunkerque sarebbe arrivato il miracolo del salvataggio di 340.000 soldati.

In entrambi i casi le disfatte erano clamorose, ma già si lavorava a superare le notti più buie, cambiandone opportunamente i protagonisti.

Quanto alle disfatte sportive, la più eclatante e sicuramente anche l’ultima della serie, è quella che ha lasciato a casa la Nazionale calcistica nostrana, che dovrà così rinunciare agli attesissimi mondiali. Anche in questo caso è una sconfitta dolorosissima, una disfatta, saluti a tutti e nuova squadra con nuovo allenatore.

Da una disfatta all’altra, eccoci arrivati alle ultime elezioni politiche, dove gli elettori italiani con la scheda nell’urna hanno sancito non una, ma un tris di disfatte.

Innanzitutto la più rumorosa, quella del Partito democratico, che ha lasciato per strada più o meno la metà dei consensi che si era guadagnato. Risultato: dimissioni del leader condite da polemiche e recriminazioni. Poi quella assai meno rumorosa della nuova formazione di sinistra Liberi e Uguali, che avevano abbandonato il Pd puntando a un obiettivo rivelatosi poi inferiore alla metà delle loro aspettative. Infine, quella di Forza Italia che voleva sfruttare i voti dei suoi rami e si è svegliata poi su un ramo.

«Le disfatte vanno vissute con dignità e onore, per essere la premessa di una vittoria futura», ha detto il giorno dopo i risultati elettorali il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, citando Dunquerke. D’accordo, ma per superare la notte più buia servì il coraggio di Churchill. Peccato che di un Churchill non si veda, per ora, nemmeno l’ombra.