LA PAROLA

Garbare

Garbare: verbo duttile da tenere sempre in tasca. Lo si può sfoggiare, senza paura di sfigurare, in innumerevoli contesti. Va un po’ su tutto. Ma vediamo di conoscerlo un po’ meglio.

Parte del suo fascino deriva dalla sua origine araba – qālib, modello – che ha come valore più antico in lingua quello di bella forma, linea aggraziata. Ne troviamo traccia anche nel genovese gar(i)bu nell’accezione marinaresca di dare il garbo, incurvare a regola d’arte, riferito allo scafo delle barche.

In italiano si riferisce principalmente alla maniera compìta e amabile di trattare e di comportarsi, nell’usare cura, ovvero fare/comportarsi con garbo.

Ma a farla da padrone è l’uso toscano con particolare insistenza nel fiorentino e qui dobbiamo obbligatoriamente specificare l’uso fortemente identitario del “a me mi”, da cui il verbo non può separarsi. Quindi, “a me mi garba”, sottolineando che in Toscana le cose non piacciono, garbano proprio!

Volendosi arrabattare a cercare un’origine prettamente toscana, dobbiamo svoltare l’angolo ed entrare in via della Condotta, nella Firenze del 1200, al tempo delle corporazioni delle arti e dei mestieri, quando il nome della via era Via del Garbo e proprio qui si trovavano le più belle botteghe di tessuti di lana. Con il termine garbo venivano indicati proprio i pregiati capi di lana, per estensione la parola si utilizzava per indicare tutto ciò che era bello; dal nome si coniò il verbo che oggi è indispensabile nel nostro linguaggio, perché ha una verve che il verbo piacere proprio non ha.

Una curiosità che ci arriva direttamente dall’Accademia della Crusca: il verbo è usato nella storia della letteratura sia da autori toscani (Pulci, Firenzuola, Panciatichi, Aretino, il Lasca, fino a Collodi, Fucini e Tozzi), ma anche non toscani (Gottifredi, Siri, Baretti, Belli, Leopardi, Manzoni, Nievo, De Sanctis, Fogazzaro, De Roberto, Capuana, Gozzano, Svevo, Pirandello e altri ancora). È però da osservare che negli autori in cui risulta usato più frequentemente, il contesto è costituito più spesso da frasi negative del tipo «non mi garba (punto, per nulla, affatto)»: così avviene per Ippolito Nievo, che su un totale di 24 occorrenze, lo usa 15 volte in frase negativa e due volte in correlazione con poco («mi garbava pochissimo, garbavano poco o nulla»).

Sempre gli accademici della Crusca, ci segnalano un bel ristorantino a Milano, il T Garba, che propone i piatti dell’antica tradizione toscana. Nel menù compaiono “Mangiarini toscani”, “i Testaroli e i Panicacci”, nonché “le Fiorentine, il Caciucco alla livornese” e un imperdibile “Baccalà spadellato”! A noi ci garba parecchio!

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