LA PAROLA

Iato

Lo iato vorrebbe una dieresi sopra la i, tanto per far capire subito che tipo è: sta per i fatti suoi. Per pronunciare iato, poi, non c’è modo di non aprire la bocca: non puoi pronunciarla stretta fra i denti, si scombina e diventa evidente che ha bisogno di aria. Ci informa infatti l’enciclopedia on line Treccani che è un sostantivo maschile e viene dal latino hiatusus, der. di hiare «aprirsi; spalancare la bocca», e che è sinonimo del fenomeno fonetico della dieresi. Si riferisce sia all’incontro di vocali in una stessa parola, sia in fine e principio di due parole consecutive; anche la dialefe, in metrica, è una particolare forma di iato.

Naturalmente ha poi un utilizzo in senso figurato e, dato che apre, spacca pure. Perciò sta a significare una frattura nello svolgimento di un’azione o di una serie di fatti. Un poeta anonimo la usa così:

«mi piace lo iato, ma questo nostro è un fossato».

Chissa che avrà voluto dire, magari che l’apertura era eccessiva.

Comunque la parola iato è piaciuta anche all’anatomia, che l’ha usata per nominare alcune aperture, orifizi o spazi cavi dei nostri organi interni, come lo iato aortico o lo iato esofageo; è piaciuta anche agli ematologi, che la usano per indicare l’assenza di uno o più stadi intermedi di maturazione delle cellule, leucocitarie o eritrocitarie a seconda della malattia descritta. Per distinguersi spesso la usano nella versione latina: hiatus leucemico, hiatus eritremico.

 

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