LA PAROLA

Brugola

Termine usato invariabilmente sia per la chiave maschio di forma esagonale che per la vite a testa cava corrispondente; ambedue inutilizzabili senza la controparte tanto da farne una coppia affiatatissima a dispetto del metallo freddo di cui generalmente consistono.

Mentre nel resto del mondo si chiama “chiave Allen” o “Inbus” – rispettivamente dal nome dello statunitense William G. Allen che la brevettò per primo nel 1910 o con l’acronimo tedesco di Innensechskantschraube Bauer Und Schaurte – in Italia la brugola deve il nome al brianzolo Egidio Brugola, fondatore dell’ancora attiva azienda omonima di Lissone, che ne brevettò una variante particolare nel 1945.

La forma più comune di chiave a brugola è quella di una barra a sezione esagonale piegata a L oppure a S; il suo utilizzo è vantaggioso rispetto all’uso di un comune giravite perché le viti si stringono meglio e con un minore rischio di danneggiamento delle stesse e delle superfici vicine; risulta particolarmente comoda per viti di piccola misura e grani.

Da non confondersi con la chiave cosiddetta poligonale, meglio conosciuta come chiave a stella, le cui estremità sono invece chiuse ad anello con l’interno dalla forma “a stella” appunto, a sei o più vertici, di modo che la torsione venga esercitata sugli spigoli delle facce di dadi e bulloni permettendo così inserimenti più facili e angolati sia per stringerli che per allentarli. Nobilitata da Primo Levi al rango di titolo di romanzo, la chiave a stella, nelle mani dell’operaio specializzato Tino Faussone, da semplice utensile si fa metafora delle vite degli altri, del saper ascoltare, della dignità del lavoro.

Di status letterario inferiore, la brugola – a parte un fugace passaggio cinematografico nella commedia Tre uomini e una gamba dove «Il paradiso della brugola» era il negozio di ferramenta dell’antipaticissimo consuocero del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo – deve invece la sua notorietà più che altro al fatto di essere assurta a simbolo dei negozi Ikea, dato che la gran parte delle viti fornite dal diffusissimo marchio per l’estenuante montaggio dei suoi mobili sono di questo tipo e vanno dunque serrate con l’omonima chiave, rigorosamente data in dotazione in ogni imballaggio. Esibita ripetutamente nel catalogo, così come nella segnaletica presente nel punto vendita o nel parcheggio, la brugola (la chiave, nella fattispecie) è diventata ormai un oggetto identitario, una specie di brand, un pezzo del suo stesso capitale immateriale.

Che si sia o meno clienti abituali dell’Ikea, la brugola in realtà viene percepita come quello strumento che, alla bisogna, nelle cassette degli attrezzi – anche di quelle più fornite – è presente sistematicamente nel passo di un numero più grande o di un numero più piccolo di quello che serve.

Finisce così che, dopo essersi procurati, dal ferramenta o al brico-center, la centoquattresima chiave del nostro armamentario, la prossima volta troppo grande o troppo piccola anche questa, avviliti e consapevoli di contribuire all’accumulo insensato di oggetti che, stipati, andranno a ingombrare cassetti, armadi e ogni angolo disponibile di abitazioni sempre più piccole, ci si può almeno consolare con le parole sulla saggezza delle mani, essenziale e trascurata, che Primo Levi ha affidato a Faussone: «Io, scusi sa, ma al suo posto ci penserei su bene. Guardi che fare delle cose che si toccano con le mani è un vantaggio; uno fa i confronti e capisce quanto vale. Sbaglia, si corregge, e la volta dopo non sbaglia più».

Fonti e approfondimentiVocabolario Treccani

Wikipedia

Dario Mangano, Ikea, doppiozero ed., 2014

Primo Levi, La chiave a stella, Einaudi, 1978

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