LA PAROLA

Renaiolo

Chi per mestiere cava e trasporta rena, così riportano i maggiori dizionari alla voce renaiolo.

I renaioli, o renai, erano umili lavoratori  dei fiumi che nei secoli scorsi prelevavano sabbia, ghiaia e ciottoli dall’acqua utilizzando degli appositi barchini. L’attività di estrazione richiedeva esperienza e passione, ma nel secondo dopoguerra andò sempre più scomparendo,  soppiantata velocemente dall’utilizzo dei  mezzi meccanici.

Anche a Firenze un tempo si diceva  non esserci  casa, antica o moderna che non fosse stata costruita con rena d’Arno, sabbia di fiume di qualità superiore  con una forte capacità di coesione con la calce, a differenza dei granelli di cava che avevano  il difetto di disgregarsi facilmente al minimo attrito. Al contrario, quelli di  rena di fiume erano apprezzati per  la loro durezza,  compatti e resistenti alle forti pressioni,  ottima per murature ed intonaci. Durante il periodo di magra dell’Arno, i renaioli scandagliavano  il letto del fiume con la stanga del barchetto, usandola come fosse un  remo, alla ricerca dei depositi di rena; appena individuatone uno che valesse la pena di essere sfruttato, vi infilavano profondamente la lunga pertica  alla quale ancoravano poi il barchetto, dando così inizio al no il lavoro di estrazione.

Per far  questo bisognava utilizzare una pala molto particolare, simile al cucchiaio di una draga la quale veniva innestata a una pertica così lunga da poter pescare comodamente nel fondo del fiume ma che rendesse lo stesso possibile lo sforzo di trazione necessario per sollevare ogni volta un peso non indifferente.

Questa lunga pala veniva manovrata facendola scorrere negli incavi delle cosiddette ‘palchette’, specie di regoli posti sui bordi del barchetto. I renaioli la gettavano giù a rovescio, nel calarla la rigiravano dirigendola sotto il palchetto e poi la tiravano su piena, portando l’asta quasi in posizione orizzontale. La difficoltà e lo sforzo maggiore erano dati dallo strappo a filo d’acqua necessario per tirare il carico a bordo.

Soltanto quando il barchetto era pieno, tanto da rischiare talvolta di imbarcare acqua e capovolgersi, il renaiolo si dirigeva verso riva e scaricava sul greto la rena. Qui iniziava un altro lavoro: in grandi reti di filo di ferro drizzate sulla riva, un po’ oblique verso il terreno, a pochi passi di distanza l’una dall’altra, veniva  vagliata tutta la sabbia estratta, per essere poi pazientemente divisa in materiale di vari formati. Così a poco a poco, si accumulavano dietro le reti monticelli di renone, o di sabbia grossa, e quindi di ghiaino e “pille”, costituite da ciottoloni più grossi, voluminosi e ingombranti.

In una città con un’intensa attività edilizia, questo duro ed impegnativo lavoro veniva effettuato anche d’inverno se la pioggia, intemperie e le piene del fiume lo permettevano; quest’ultime erano tuttavia attese come la manna dai renaioli soprattutto d’autunno, a ottobre-novembre, quando dopo le piene rimanevano spessi banchi di ghiaia e rena: come conseguenza portava lavoro e con esso di che sfamare la famiglia.

Quando il renaiolo riusciva ad estrarre in media due metri cubi di materiale da costruzione al giorno, poteva ritenersi contento, dato che i barrocciai, incaricati dai capomastri addetti alle costruzioni di andare a caricare i loro barrocci sul greto dell’Arno, gliela avrebbero pagata adeguatamente.

I renaioli sono stati spesso immortalati nell’opera dei pittori macchiaioli.

Tags