LA PAROLA

Ruffiano

-Al Salon di rue des Moulins, Henri de Toulouse-Lautrec-

Quella del ruffiano è un’arte antichissima, e altrettanto vecchia è la parola che la individua. L’etimologia di ruffiano è controversa. C’è chi sostiene che derivi dall’ebraico rephion: mollezza, dissolutezza. Altri vi riconoscono la radice medievale germanica ruf, che significa rogna, tigna, ma anche sporco; da cui la voce italiana raffia = sozzura. Ma ruffiano potrebbe derivare anche dal germanico ruffi – ghermire, arraffare – con la successiva aggiunta del suffisso latino anusìpò. Altri studiosi propendono invece per un altro etimo: la radice di ruffiano è il latino rufus, rosso, che attraverso la forma secondaria rufulus, è diventato ruflanus. Ruffiano.

Ruffiano perchè così nell’antica Roma era definito colui che “trattava” le prostitute che all’epoca avevano, come tratto identificativo, i capelli rossi. Si trattava ovviamente di un artificio cosmetico: se fossero state autenticamente rosse, il loro prezzo sarebbe salito di molto. Le prostitute rosse (e, anche se in misura minore, le bionde) erano molto ambìte, perché estremamente rare: le schiave vendute a questo scopo provenivano quasi tutte dal bacino del Mediterraneo, ed erano perciò di chiome generalmente corvine. Sulle rosse inoltre aleggiava (ma aleggia ancor oggi) un’aura di passionalità (il rosso anche ai giorni nostri è il colore dell’amore e della passione) e di indomabilità.

È per questo che i commercianti in prostitute, non avendo quasi mai in campionario delle ragazze con queste caratteristiche, provvedevano a tingere loro i capelli di rosso (o in qualche caso a scolorirli, per ottenere l’effetto biondo). In altri casi utilizzavano l’hennè, che dona riflessi rossastri ai capelli neri. Erano dunque chiamati ruffiani perché rendevano rossi i capelli di una specifica categorie di donne. In verità, anche in epoche più recenti e al femminile, venivano chiamate ruffiane le manutengole delle tanto discusse “case di tolleranza” che una legge della cattolicissima Repubblica Italiana del dopoguerra (Legge Merlin, socialista), alle soglie degli anni Sessanta, ha voluto che fossero chiuse.

Il ruffiano doveva assecondare i gusti della sua clientela maschile e, da buon conoscitore dell’arte della seduzione, non poteva non avere con il rosso legami strettissimi. In effetti, al rosso il ruffiano doveva molto: a cominciare dal proprio nome. Il ruffiano pur commerciando in puttane, non era insomma un magnaccia: un protettore come lo intendiamo oggi. Essendo la vendita di prostitute perfettamente legale nell’antica Roma, non doveva infatti proteggere la sua merce dall’autorità, ma semplicemente renderla più appetibile. Il ruffiano, era, in definitiva, un esperto nel rendere “sexy” le proprie schiave: un consulente di immagine ante litteram. Il tipo di lavoro svolto dal ruffiano traspare anche in un suo sinonimo: lenone. La radice di lenone è “lenire”: addolcire, migliorare.

-Gerrit Van Honthorst La Sensale-

Nel tempo il termine ruffiano è passato a indicare non più uno che ha a che fare con delle prostitute e procura la schiava più attraente ad un buon prezzo, ma un mediatore di matrimoni: un sensale. Utile a trovare una moglie brava e senza pretese o un marito lavoratore e buon padre. Anche in questo caso era necessario per il ruffiano saper sottolineare i pregi e nascondere i difetti. Ancor oggi, a Napoli, di qualcuno che si sta prodigando perché una certa unione vada in porto, si dice che ha ’e calzett ross, le calze rosse.

Quella del ruffiano era una figura a metà fra il mezzano, combinatore di matrimoni, e il lenone, protettore di prostitute: gli amori che favoriva potevano essere d’ogni tipo. Il ruffiano ha però un connotato più marcatamente viscido: egli cura i propri interessi attraverso manovre astute, indotte con l’adulazione, ostentando sottomissione.

Nel corso dei secoli il termine si è poi esteso su chiunque, genericamente, pratica degli atteggiamenti di lusinga, servilismo o adulazione. Attualmente il ruffiano ha perso la relazione primaria con i fatti amorosi, rimanendo, in modo generico ma efficace, il leccapiedi che cerca favori per proprio tornaconto, ma anche chi adula i potenti, sollecitandone la vanità, per ottenerne i favori.

Così come faceva il ruffiano dell’antica Roma, che rendeva più belle le sue “ragazze” per venderle meglio, e il sensale, che amplifica le qualità delle due persone che sta “trattando”, affinché si piacciano, così il ruffiano, “abbellisce”, amplificandoli, i meriti e le capacità del potente con cui sta parlando al fine di ottenere un vantaggio.

Sarà ruffiano il giornalista che intervista il proprio politico di riferimento, attendendo riconoscimento o ruoli prestigiosi; sarà ruffiano lo studente più arrivista che capace che vuole farsi notare dal professore aspirando a un posto da assistente; il venditore ruffiano tenterà di lisciare il cliente con complimenti e lusinghe per indurlo a comprare. Spesso riuscendoci: pur sapendo perfettamente di avere a che fare con un ruffiano, assai spesso il potere (e non solo) è sensibile all’adulazione. L’arte del ruffiano è comunque truffaldina.

È per questo che Dante mette i ruffiani (insieme ai seduttori) nel Canto XVIII dell’Inferno, tra i fraudolenti nella prima bolgia dell’ottavo cerchio.

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