LA PAROLA

Transumanza

La transumanza è un’antichissima pratica di allevamento consistente nello sfruttamento combinato, nelle stagioni diverse, dei pascoli appenninici e di quelli litoranei che si basava sullo spostamento stagionale di grandi greggi attraverso i tratturi. I pastori si spostavano alla ricerca dei pascoli dai monti alle pianure durante l’inverno e all’inverso d’estate. Una procedura praticata, per millenni, alle latitudini diverse della Penisola e ancora oggi in parte preservata in alcuni territori rurali, tanto da essere stata candidata nei mesi scorsi a diventare patrimonio culturale immateriale dell’umanità Unesco. La richiesta è stata presentata ufficialmente il 27 marzo scorso a Parigi dall’Italia, Paese capofila della proposta insieme alla Grecia ed all’Austria. Questa pratica di migrazione stagionale di greggi e pastori lungo le vie dei tratturi, in Italia viene praticata ancora, in particolar modo nelle regioni del Centro e del Mezzogiorno.

Un tempo questa economia di tipo pastorale si estendeva per larga parte dei nostri territori, caratterizzando usi e costumi oggi scomparsi, come i paesaggi che gli facevano da sfondo, così come l’ambiente agro-silvo-pastorale è rimasto per secoli la base di una civiltà che si è attenuata nel tempo, ma comunque protratta fino alla metà del secolo scorso.

Nell’Italia centrale, in particolare nella lunga fascia tirrenica, specialmente nella Maremma grossetana, per le particolari caratteristiche di queste terre divenute fin dal medioevo malariche e spopolate, il pascolo brado e la transumanza si diffusero per molti secoli. In questo caso si può veramente parlare di civiltà della transumanza, nel senso che nella pianura maremmana si stratificarono abitudini e forme di vita e di sfruttamento del terreno legati proprio ai ritmi della transumanza e all’attività di trasformazione dei prodotti derivanti dal latte. Un sistema di allevamento che finiva per far diventare nomadi le popolazioni coinvolte, vincolandole ai cicli annui dello spostamento degli animali e ai suoi secolari itinerari tra montagne e vallate, in percorsi lunghi e faticosi di andata e ritorno. Mentre si viaggiava e si guidavano i greggi e gli armenti si produceva latte e formaggio in un ciclo senza soste, dove il riposo dell’uomo coincideva con quello degli animali.

La transumanza nel corso dei secoli è divenuta anche un soggetto iconografico. Nel Medioevo rappresentazioni paesistiche si ritrovano in dipinti di genere sacro e allegorico, ad esempio negli affreschi di Lorenzetti e Simone Martini nel Palazzo Pubblico di Siena. Nella pittura del ‘300 il pastore che avvia il gregge fuori le mura e i contadini che recano i loro prodotti sono indici di una perfetta compenetrazione fra città e campagna.

Nel Seicento nacque il paesaggio ideale di stile classico: il paesaggio arcadico, lontano nel tempo e nello spazio è in primo luogo il simbolo di una condizione primigenia dell’uomo: evoca, infatti, la mitologica età dell’ora, una realtà edenica di un mondo immerso in una natura senza tempo. L’Arcadia, che corrisponde solo nominalmente all’antica regione del Peloponneso, è una terra idillica popolata da pastori che vivono amori bucolici. L’universo agreste è stilizzato e i personaggi che lo animano sono del tutto avulsi dal lavoro pastorale, un mondo mitico e favoloso, teatro di un’esistenza libera e incondizionata, completamente dedita all’otium.

Molti artisti, soprattutto nel XIX secolo, in coincidenza con il trionfo dell’impressionismo (in Italia, Macchiaioli) e della pittura en plein air, scelsero la via dei campi come oggetto delle loro opere. L’Ottocento fu il secolo d’oro della pittura di paesaggio, in concomitanza con la progressiva dismissione dei soggetti ispirati alla storia e alla letteratura certo non appariscenti; oggetto della pittura diventa il vero naturale e sociale nei suoi aspetti più comuni: abbandonati i temi storico-letterari, gli artisti si ispirano alla contemporaneità, estesa anche agli aspetti più banali, finora espunti dalle arti. Fanno la loro comparsa motivi campestri.

Nella pittura dell’Ottocento la vita rurale diventa protagonista e tramanda il ricordo di una gestualità antica e di una campagna incontaminata, ormai viva solo nella memoria. Qualità innovativa dei paesaggi dei Macchiaioli, nel connubio tra arte e vita quotidiana. Il movimento pittorico sviluppatosi a Firenze nella seconda metà dell’Ottocento, privilegiò gli scenari della campagna toscana, raffigurando scene di vita agreste in un contesto naturale, caratterizzato da colori accesi che davano ancora più risalto alle opere.

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