IL PERSONAGGIO MEMORIE

L’uomo normale che salvò 669 bambini ebrei

La storia di Nicholas Winton, raccontata da Flavio Fusi nell’articolo Il piccolo burocrate della banalità del bene, riletta e riraccontata da Fiorenzo Bucci che è anche invano andato al Yad Vashem di Gerusalemme a cercare traccia di quell’uomo che salvò la vita di 669 bambini: «Ebrei o non ebrei, per me sono bambini», disse. Ed erano ebrei, come lui, perciò il suo nome non è nel giardino dei giusti.

«Non andiamo a sciare, vieni subito a Praga e lascia pure a casa sci e scarponi». Martin Blake, professore alla Westminster school, già allora nel 1938, era uno degli attivisti del Comitato inglese per assistere gli ebrei e i perseguitati nella regione dei Sudeti che, in forza del patto di Monaco, era passata dalla Cecoslovacchia ai nazisti tedeschi.

Nicholas nel 1939 con uno dei bimbi salvati

Il suo amico Nicholas Wintor, un aristocratico agente di borsa nella city londinese, capì immediatamente che c’era qualcosa di più utile di una discesa e di uno slalom in Svizzera e, già pochi giorni dopo, era ospite di un hotel in piazza San Vinceslao a Praga. E fu lì che Blake gli presentò Dreen Warriner, attiva nel Comitato e con un pass per visitare i campi profughi nei Sudeti. Nicholas aveva allora 29 anni, battezzato come membro della chiesa anglicana e ormai lontano dal suo primo cognome Wertheim, non aveva comunque dimenticato le proprie origini ebraiche. E non restò insensibile di fronte alle condizioni, già terribili, in cui erano costrette a vivere intere famiglie finite senza colpe in una regione sbagliata. Lo colpirono in particolare i molti bambini senza futuro e in balìa di possibili terribili eventi. Non ci voleva molto a capire che la storia dei Sudeti era solo il primo dei terribili passi che i nazisti avrebbero compiuto a breve in Boemia e Moravia.

Quella visita segnò una svolta profonda nella vita di Winton che, rientrato a Londra, concepì immediatamente un progetto al limite dell’impossibile, ovvero trasferire quei bambini al sicuro in Gran Bretagna. Non solo era di una difficoltà spaventosa far passare i convogli attraverso la Germania, fino alle coste atlantiche per poi provvedere all’imbarco per l’attraversamento della Manica. Più difficile ancora era strappare i bambini alle loro famiglie di origine per trovare poi in Inghilterra o in qualunque altro paese sicuro nuove famiglie in grado di adottarli. Immediatamente Nicholas, che lavorava al mattino nella City, lasciò qualsiasi altra occupazione pomeridiana e serale per dedicarsi alla nuova missione. Lo aiutarono la madre e pochi altri amici. Uno sfibrante lavoro per convincere, sollecitare, stimolare, organizzare imprese difficili e pericolose.

A Praga mise su una specie di ufficio che denominò “Winton’s children section”. Resta perfino difficile comprendere oggi le interminabili file alla porta di Nicholas. Genitori che andavano a prenotarsi per perdere definitivamente i loro figli, l’unica condizione per salvarli nella certezza pressoché assoluta che non li avrebbero più rivisti e nella consapevolezza della tragedia che attendeva il resto della famiglia.

Tanti furono i problemi economici. Il governo inglese pretese 50 sterline a bambino per coprire un’eventuale futura ripartenza dei ragazzi dal paese. Trovare famiglie pronte ad accogliere non fu mai semplice. Moltissimi furono i rifiuti soprattutto americani. «Una pratica commerciale sporca», così Winton giunse a definire la sua «molto efficace» tecnica di fotografare i ragazzi per convincere le famiglie con la pietà suscitata da una tenera immagine infantile.

Dopo infiniti, minuziosi preparativi il 14 marzo 1939, partì dalla stazione di Praga il primo convoglio organizzato da Winton. Tre giorni dopo i ragazzi, un centinaio, arrivarono alla London Victoria station dove ad attenderli, piene di emozione, c’erano le loro nuove famiglie. Che non raccolsero la gioia dell’infanzia ma la tragedia di sofferenze inumane già patite da innocenti bambini.

Ci furono perfino pressioni da parte di rabbini, rigidamente ortodossi, perché tanti bimbi ebrei erano stati raccolti da famiglie cristiane. Nicholas tirò avanti liquidando assurde pretese con la più pratica delle considerazioni: «Meglio un bambino ebreo vivo in una famiglia di religione non ebraica che uno morto tra indicibili sofferenze».

Dopo il primo ci furono altri sette convogli. Negli anni recenti si sono contati 669 ragazzi salvati dall’instancabile attività di Winton. Nessuno dei loro genitori originali è mai tornato dai lager nazisti.

Il 3 settembre 1939 il nono treno della salvezza non riuscì a superare la frontiera cecoslovacca. Due giorni prima dalla corazzata tedesca Schleswig-Holstein erano state sparate alcune bordate verso la penisola di Westerplatte sul Mar Baltico: l’invasione della Polonia aveva segnato l’inizio della seconda guerra mondiale. Erano 250 i bambini su quell’ultimo convoglio; nessuno di loro riuscì a sopravvivere all’orrore.

Nicholas aprì il suo animo generoso ad altre iniziative in patria ma dovette desistere dalla sua missione: cioè che era stato difficilissimo era ormai diventato impossibile.

Negli anni che segnarono la fine della guerra, in quelli della ricostruzione e del ritorno alla vita, mai Winton parlò della sua missione, dei bambini strappati ai nazisti. Non lo fece con gli amici, con i parenti, con i tre figli, con la moglie Grete Gjelstrup e sicuramente la sua attività sarebbe finita tra gli episodi sconosciuti che contrapposero alla barbarie del nazismo la forza dell’umanità e della generosità.

Accadde però che a Grete venne in mente una di quelle riorganizzazioni femminili della casa che solitamente sconvolgono le normali abitudini domestiche e, durante i “lavori”, scoprì in soffitta una valigia piena di registri, di diari, di fotografie, ovvero tutta la documentazione dell’attività del marito nel 1938 e 1939. Non aveva mai ascoltato racconti su quelle storie e rimase colpita.

Una settimana dopo il materiale venne consegnato a Elisabeth Maxwell, esperta di Olocausto e moglie dell’editore Robert Maxwell. Qualche tempo dopo una valente conduttrice del programma “That’s life” sulla BBC riuscì a riunire in un teatro moltissimi di quei bambini ormai diventati donne e uomini. Con la scusa di una trasmissione sulla seconda guerra mondiale invitò anche Nicholas, ignaro della sorpresa che gli era stata preparata. La puntata andò avanti decantando le gesta di un signore inglese che aveva salvato molti ebrei. Poi su un grande schermo cominciarono ad apparire i registri e i diari recuperati in soffitta da Grete.

Winton non fece neanche in tempo a capire che si stava parlando di lui quando la conduttrice invitò i presenti, salvati da quel signore inglese, ad alzarsi in piedi. Lo fecero tutti e tutti si unirono in un interminabile applauso: Nicholas era in mezzo a suoi ragazzi. Gli occhi gli si riempirono di lacrime; si alzò per vedere quanti stessero applaudendo e si rese per la prima volta conto che davvero erano moltissimi. Le telecamere rimandarono al mondo il volto stupendo di un uomo buono e coraggioso, un nonno sereno che sapeva ancora commuoversi. Finita su Youtube la puntata è stata finora vista da 22 milioni di persone.

Dal 1988 è stata una corsa a intervistare lo “Schindler inglese”. Mai in infiniti reportage Nicholas è andato oltre la sua natura: «Non sono un eroe, gli eroi rischiano, io non ho mai rischiato. In fondo quella attività ha occupato solo nove mesi di una vita molto lunga».

Nel 2009 ventidue di quei 669 bambini, con figli e nipoti, sono tornati a Praga per ripercorrere in treno e in nave lo stesso percorso che li portò verso la salvezza. Oggi, sparsi nel mondo sono seimila i discendenti dei bambini di Praga.

Nel 2010 Winton ha ottenuto tra i tanti riconoscimenti anche quello di “eroe britannico dell’Olocausto” per iniziativa della regina.

Quando sono andato a Gerusalemme a visitare Yad Vashem, mi sono molto meravigliato non trovando all’interno una piantina col suo nome nel giardino dei giusti e neanche l’incisione nel muro dell’onore, istituito negli anni 90 quando non ci fu altro spazio per nuovi alberi. Mi spiegarono che Nicholas aveva origini ebree e il riconoscimento di “Giusto tra le nazioni” spetta solo ai non ebrei. Un nome in più avrebbe fatto comodo anche alla Gran Bretagna: a gennaio 2017 su 26.513 riconoscimenti presenti nel museo dell’olocausto solo 22 erano stati assegnati a cittadini inglesi.

Sir Nicholas Winton si è spento serenamente a Maidenhead, una cittadina nelle campagne a est di Londra, il primo luglio del 2015; aveva 106 anni.