La puntuale definizione di modestia data da Paolo Ranfagni qui nella rubrica “La parola” di TESSERE, suggerisce di prendere in considerazione qualche altra celebre opinione al riguardo visto anche il diffondersi da un lato della presunzione e dell’arroganza e, dall’altro, di una modestia ostentata al punto tale da risultare quella che solitamente si chiama falsa modestia.
Se la religione cattolica raccomanda di affrontare le prove della vita e di rapportarsi al prossimo praticando modestia e temperanza, anche il grande filosofo cinese Confucio sembra non avere dubbi riguardo ad essa nel considerarla una “qualità morale”. Sosteneva infatti che «i saldi, i resistenti, i semplici e i modesti sono vicini alle virtù», ed aggiungeva per dire quanto sia utile a farsi ascoltare dagli altri: «Chi parla senza modestia troverà difficile rendere buone le proprie parole».
Ranfagni fa giustamente riferimento ad Alessandro Manzoni, il quale scriveva: «La modestia è una delle più amabili doti dell’uomo superiore: si osserva comunemente che essa cresce a misura della superiorità: e questa si spiega benissimo con le idee della religione. La superiorità non è altro che un grande avanzamento nella cognizione e nell’amore del vero: la prima rende l’uomo umile, e il secondo lo rende modesto».
Gli davano ragione i proverbi come quello secondo cui «La fortuna del savio ha per figliola la modestia», o l’altro toscano che sintetizza bene le difficoltà di far carriera dei modesti: «Fra Modesto non fu mai priore».
Anche altrove la saggezza popolare si esprime in termini analoghi. Recita un detto malese: «La tartaruga depone migliaia di uova senza che lo sappia nessuno, mentre la gallina quando fa un uovo informa tutto il vicinato».
Margherita Hack, parlando del lavoro dello scienziato, ha affermato: «Solo chi sa cos’è la vera modestia mette la sua sete di conoscenza davanti a stupidaggini come il titolo e gli allori».
Aristotele, però, affermava che essa «assomiglia più a una sofferenza che a una qualità». Ancora più spietato il parere di Goethe: «Solo i poveracci sono modesti». Gli fa eco Anton Cechov sottolineando ironicamente gli inconvenienti a cui si espone il modesto: «Fu festeggiato l’anniversario di un uomo molto modesto. E soltanto alla fine del pranzo ci si accorse che qualcuno non era stato invitato: il festeggiato».
Alla modestia molti associano altri difetti. C’è chi la crede sempre poco sincera e anzi propria delle persone che la praticano solo in apparenza. Napoleone, che certo non si può definire un modesto, diceva in proposito: «È solo l’arte di incoraggiare gli altri a scoprire quanto sei importante». Oscar Wilde, caustico come al solito, consigliava: «Dobbiamo essere modesti e ricordarci che gli altri sono inferiori a noi». Persino il padre dell’interpretazione dei sogni, Sigmund Freud, in Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (anno di prima pubblicazione 1905), sosteneva che le persone modeste sembrano affermare tutto ciò che invece mostrano di negare, cioè di essere importanti, aprendo le strade alla constatazione della psicanalisi contemporanea secondo la quale dietro alla modestia possono celarsi una bassa autostima o, al contrario, un forte egocentrismo, che nel nascondersi cerca conferme per alimentarsi.
Per dire quanto essa possa essere associata all’apatia, all’indifferenza o alla mediocrità, il drammaturgo e regista teatrale argentino contemporaneo, Rafael Spregelburd (Luca Ronconi mise in scena nel 2012 un suo testo, titolandolo appunto La modestia), la colloca fra i sette vizi capitali della civiltà contemporanea insieme a Inappetenza, Stravaganza, Stupidità, Panico, Paranoia e Caparbietà, definendola il peccato di «mentire a se stesso sulle proprie potenzialità, per non doverne affrontare il limite».
A fianco della definizione di «qualità morale, opposta alla vanità e alla presunzione, consistente nel non sentire e non mostrare vanto dei propri meriti», di cui dà conto Ranfagni attingendo al dizionario Treccani, ne troviamo altre: «Aspetto dimesso, tono modesto, come indice di possibilità economiche limitate»; ed anche: «Con significato più astratto, carattere quantitativamente modesto, cioè modico, esiguo: la modestia del compenso; la modestia dei risultati; la modestia delle sue capacità». E infine, variante sorpassata e politicamente poco corretta, «atteggiamento femminile ispirato a pudore e riserbo, che si manifesta negli atti, nelle parole, nella compostezza del vestire e del portamento».
La modestia, dunque, va praticata con moderazione: una certa quantità non guasta, specie se commisurata ai vizi capitali della società contemporanea, la competitività e l’individualismo senza limiti; esagerando, però, il rischio è di isolarsi dagli altri, di restare nascosti dietro il sipario e non uscire mai sul palcoscenico della vita.