LA PAROLA

Nebbia

«Nebbia fitta in val Padana»: un classico del bollettino meteorologico, che da sempre accompagna le giornate d’inverno. Il Nord Italia e Milano? Una fabbrica di nebbia. Così almeno se la immaginavano Totò e Peppino: «Se i milanesi a Milano quando c’è la nebbia non vedono, come si fa a vedere che c’è la nebbia a Milano?». Ma, a parte l’ironia e i luoghi comuni, sembra che alla domanda «vorreste abolire la nebbia?», la stragrande maggioranza dei milanesi avrebbe risposto di no. Non fosse altro che la nebbia crea anche tanta suggestione e basta un po’ di pazienza, poi si dissolve. Eppure è indimenticabile quella bizzarra idea, di un po’ di anni fa, di spianare il monte Turchino con l’illusione di far sparire la nebbia nella pianura Padana.

Scientificamente si chiama nebbia quell’ammasso di goccioline di un diametro di qualche millesimo di millimetro (5/10 micron), e quindi leggerissime, che si formano in prossimità del suolo per condensazione di vapore d’acqua, diminuendo la visibilità. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale, l’espressione nebbia si applica quando la visibilità è inferiore ai mille metri. Un banco di nebbia o un mare di nebbia.

Molti scatti fotografici e tante poesie (da Carducci a Pascoli) immortalano suggestione, romanticismo o malinconia della nebbia. Certo, se con la nebbia si può perfino sognare o fantasticare, spesso quando è persistente quel vapore denso e umido è un fenomeno atmosferico fastidioso, pericoloso, fino a diventare “killer”, come si legge nei titoli dei quotidiani, quando è causa di incidenti mortali.

Questa condizione, tuttavia, non è mai così dannosa come la nebbia dell’ignoranza, quando la parola è usata nell’accezione figurata per definire ciò che offusca la ragione e la lucidità mentale, fino a provocare gravissimi danni. La storia ce lo insegna. C’è ancora oggi chi è costretto a combattere contro quella nebbia dell’ignoranza di chi vorrebbe tornare indietro sulle vaccinazioni che tante malattie hanno sconfitto. La nebbia si presta a rappresentare l’ignoto, l’insicurezza, la sfiducia. Vagare nella nebbia.

Fortunatamente la nebbia è anche una cosa che non dura a lungo, non ha consistenza e si scioglie. «Dopo la nebbia ad una ad una si svelano le stelle. Respiro il fresco che mi lascia il colore del cielo»: così la poesia Dopo la nebbia di Giuseppe Ungaretti.

Il Porto delle nebbie è un classico film noir del periodo francese tra le due guerre, sceneggiato da Jacques Prevert e diretto di Marcel Carné, interpretato da Jean Gabin e Michèle Morgan. Niente a che vedere con il romanzo Il porto delle nebbie di Georges Simenon. Porto delle nebbie è anche l’appellativo affibbiato al tribunale di Roma negli anni tra il Settanta e il Novanta per sospetti e indagini contese con altri tribunali.

I meno giovani sicuramente ricorderanno la bella canzone di Pierangelo Bertoli: «Ed è la nebbia che ti porta via. Sì, questa nebbia la mia compagnia. Del suo silenzio io mi vestirò. E con la mente poi ti seguirò ovunque tu sia. Ed è la nebbia che mi bagna il viso. Sì, questa nebbia che accarezza il tuo sorriso».

 

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