LA PAROLA

Pace (la mia)

Da Wikipedia: «La pace è una condizione sociale, relazionale, politica (per estensione anche personale ovvero intraindividuale, o eventualmente legata ad altri contesti), caratterizzata dalla presenza di condivisa armonia e contemporanea assenza di tensioni e conflitti. Il termine deriva dal latino pax (il quale a sua volta si fa derivare dalla radice indoeuropea pak-, pag– fissare, pattuire, legare, unire, saldare; alla quale sono legate anche pagare e pacare) ed è il contrapposto di bellum (guerra) in senso politico e sociologico, ovvero dello stato dei rapporti tra individui o gruppi di individui.

Trattandosi di uno dei concetti più antichi e profondi in senso antropologico, il termine ha assunto significati più estensivi e generali, compresi verbi come “appacificare” e “rappacificare”, con i relativi riflessivi: “appacificarsi” e “rappacificarsi”.

Per ulteriore estensione semantica, il concetto di pace come “non-turbamento” è poi passato dai campi sociologico e politico a quello individuale in senso spiccatamente psicologico, assumendo il significato di pace dell’anima o pace interiore, ovvero uno stato di quiete o tranquillità dell’animo umano percepita come assenza di turbamenti e agitazione. Tale pace interiore (o dell’animo) ben risponde agli antichi concetti di eutimìa (in Democrito), di aponìa (in Epicuro), di atarassia (negli stoici), di eireneusi in etiche recenti. Più specificatamente, la pace viene considerata (o dovrebbe essere considerata, secondo l’opinione corrente) un valore universalmente riconosciuto che sia in grado di superare qualsiasi barriera sociale e/o religiosa ed ogni pregiudizio ideologico, in modo da evitare situazioni di conflitto fra due o più persone, due o più gruppi, due o più nazioni, due o più religioni».

Ma vi pare sia così? L’unica cosa che ne conferma il significato può essere legato ai sensi, soprattutto per chi ha una certa età. La pace dei sensi: un buon libro, un sigaro, un cicchetto, serate con amici … Il resto è fuffa.

Non vogliamo la pace perché non è economico. Non vogliamo la pace perché il conflitto perenne serve, oh se serve, a buttar giù democrazie, vedi il Cile di Allende, o ad affermare una supremazia religiosa, vedi sempre un 11 settembre, ma a Ground Zero.

Nemmeno la fede cristiana è stata contraddistinta dalla pace: le peggiori cose sono avvenute nel nome di Cristo. E ora avvengono nel nome di Allah. Forse Budda è esente. Ma anche il culto dionisiaco … Dioniso dove sei?

Insomma si può affermare in tutta sicurezza che pace è un sostantivo che non esiste. «Si vis pacem para bellum», dicevano i latini: se vuoi la pace, prepara la guerra. E Tacito più esplicito: «Auferre, trucidare, rapere, falsis nominibus imperium, atque, ubi faciunt solitudinem, pacem appellant»: rubare, massacrare, rapire, con falsi nomi li chiamano impero, e, dove fanno il deserto, lo chiamano pace.

Peace and love, d’accordo, è successo. Woodstock e tutte le altre convention rockiste – pacifiste, ma ha lasciato macerie come una guerra.

Non siamo in grado, essendo «homo homini lupus» – uomo lupo degli uomini – di convivere, ovvero di vivere con coscienza, dolcezza, bontà e tenerezza, con solidarietà (guardate coi migranti) e amore per l’altro.

Pace in famiglia? Sempre meno spesso. Pace al lavoro? Ma quando mai … Pace con se stessi, raramente, ma almeno è un tentativo. Con qualcuno condividiamo, ma poi l’incazzatura è lì dietro l’angolo e il pensiero si fa nebuloso.

Prosit.

Consigli per la lettura: Thich Nhat Hanh, Essere Pace, Astrolabio Ubaldini Edizioni, 1989, pp. 160, € 13