MEMORIE

Parole di marmo per Attilio Momigliano

Targa ad Attilio Momigliano, via fra’ Giovanni Angelico 4, Firenze

Cos’è l’ipocrisia? Eccola qui, tutta concentrata in questo omaggio di marmo per Attilio Momigliano, insigne italianista messo alla porta dall’università di Firenze all’indomani delle leggi razziali, nel 1938:

«Qui visse e scrisse Attilio Momigliano / maestro di critica letteraria / che dalla grande poesia italiana trasse certezza dell’umanità della patria / e conforto alla persecuzione razziale».

La “certezza dell’umanità della patria”‘ Momigliano la perse quel giorno, assieme a migliaia di ebrei italiani, e la grande poesia italiana gli fu sicuramente di conforto, ma di certo non alla persecuzione razziale.

La sua cattedra in Letteratura italiana fu offerta a Massimo Bontempelli, che pur essendo accademico d’Italia si guardò bene dall’accettarla, dissentendo apertamente, non senza conseguenze: un paio di mesi dopo, infatti, venne espulso dal Partito nazionale fascista e sospeso per circa un anno dall’attività di giornalista e di scrittore. Ad accettarla fu invece un altro critico letterario illustre, Giuseppe De Robertis.

Momigliano rifiutò di espatriare in Inghilterra e si ritirò a vita privata, scrivendo sotto pseudonimo suo malgrado, fino a quando l’occupazione nazista lo costrinse a scappare per evitare la deportazione nei campi di sterminio, prima a Bologna, poi a Città di Castello, infine a Borgo San Sepolcro, dove sotto falso nome rimase nascosto per otto mesi in una clinica, ad assistere la moglie gravemente malata. Qui qualche certezza d’umanità la trovò fra la gente, come tanti altri ebrei nascosti in tutta Italia, e nonostante i tanti invece venduti per cinquemila lire – un anno di stipendio – e partiti per mai più ritornare.

Nell’introduzione all’edizione scolastica de La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, pubblicata a Firenze nel 1945, Momigliano scrisse: «Devo al Tasso e a Dante le due o tre ore di assenza che la sorte mi concedeva quasi ogni giorno. Nel pomeriggio, mentre mia moglie si assopiva dopo gli assidui terrori del giorno e della notte, io dimenticavo che ad ogni minuto un calcio improvviso poteva spalancare la mia porta, e mi sprofondavo a poco a poco nel mondo lontano della poesia. Devo dire che, se per questa io sono sempre vissuto, per questa soltanto sono sopravvissuto».

La targa davanti alla casa di Momigliano è del 1997, vent’anni fa; oltre mezzo secolo di distanza non era bastato a perdere il vizio del fumo negli occhi, perché la patria, questa sua patria così umana, da un giorno all’altro gli disse che italiano non era, per questione di razza, nero su bianco: ma per fortuna aveva il conforto della letteratura, e tanti saluti.