LA PAROLA

Rientro

Il tasto “Tab” facilita il rientro, un certo numero di battute o di spazi ad inizio paragrafo. Chi ha usato le macchine da scrivere professionalmente li contava battendo col pollice sulla barra spaziatrice. Una questione di gusto usarlo nella corrispondenza commerciale e, in generale, nell’impaginazione. Sicuramente utile per ritornare al precedente capoverso quando, studiando o leggendo, capita di trovarsi perduti a spaziare nei propri divaganti pensieri. Deriverà, in questo significato, probabilmente dalla parola rientranza.

La parola rientro, nella sua accezione più comune, deriva invece da rientrare, entrare nuovamente, essendo evidentemente usciti, ci si augura per qualche buona ragione. Se questa buona ragione è un permesso premio o una licenza, il rientro potrebbe tristemente essere in carcere o al proprio reparto militare. Secondo la Cassazione, il mancato puntuale rientro non costituisce evasione, basta non esagerare. Se passano più di cinque giorni il soldato può essere accusato di diserzione.

Parlano di rientro – con analogo stato d’animo – anche i dipendenti degli uffici pubblici quando devono tornare al lavoro nel pomeriggio, solitamente di martedì e giovedì. Il rientro può essere in sede, se andati in trasferta per lavoro, che sia per una mezza giornata o per mesi. Il rientro alla base lo abbiamo imparato dai film di azione o di guerra. «Roger. Ricevuto. Missione compiuta».

Si parla di rientro anche al termine di un viaggio astrale, quella pratica che consente di lasciare il corpo fisico, restando coscienti. Parlerei analogamente di rientro anche per quanto si vede accadere nel film Avatar, nel quale, come è noto, il protagonista lascia il suo corpo per andare ad abitarne un altro, finché la situazione non si capovolge definitivamente. Restando in tema di viaggi spaziali, può far trattenere il fiato il rientro della navicella che attraversa la crescente densità dell’atmosfera surriscaldandosi.

Nessun sospiro di sollievo, invece, al rientro dalle meritate vacanze, salvo per i più ansiosi che temono i pericoli del viaggio o di scoprire che qualcuno è entrato in casa prima di loro, portandosi via ciò che è stato lasciato per paura di esserne derubati in albergo. «Com’è andato il rientro?», ci viene chiesto, sia con riferimento al ritorno dalle vacanze, che al periodo che lo segue (nei ranghi aziendali o a scuola). È sinonimo di controesodo – con bollino rosso o nero – ma non di rimpatrio, in quanto, seppur fatto controvoglia, è comunque volontario, non coatto.

Esiste la sindrome da rientro caratterizzata prevalentemente da stato di ansia e amenità fisiche conseguenti (irritabilità, insonnia, tachicardia…). Per evitarla, o ridurne i sintomi, sarebbe consigliabile – oltre all’ovvia, ma improbabile continuazione della vacanza – passare un paio di giorni a casa prima di tornare a lavorare.

In questi giorni di fine agosto, il rientro dalle vacanze costituisce una notizia sempre uguale a se stessa: il numero di auto e di vacanzieri in marcia per il già citato controesodo; quale tempo atmosferico lo accompagnerà; i giorni da evitare, per chi può partire dimostrando intelligenza. Alla fine verrà dato anche il numero delle vittime della strada, con le differenze rispetto all’anno precedente. Ma come per le mezze stagioni, non esistono più i rientri di una volta. Sarà che tutte le auto hanno l’aria condizionata e nelle attese si acciuffa subito il telefono, se si guida. È vero che il virtuale ha soppiantato il reale, ci siamo dentro ben oltre il collo: la guida automatica non ci restituirà il paesaggio, ma probabilmente il parabrezza diverrà un enorme schermo su cui varie windows ci consentiranno di vedere contemporaneamente la ricostruzione digitale della strada, i nostri social preferiti e anche di continuare a lavorare guadagnando qualche ora di ferie, per perderci il racconto della Terra e prepararci all’avvento della vacanza virtuale in varieD (a seconda del budget) e 10G.

Se chiudo gli occhi li riapro sui rientri della mia infanzia, sul mondo reale che si srotola intorno. Il profilo delle montagne, il cambiare della vegetazione salendo di latitudine. Si rientrava dalla Sicilia verso Firenze. Colonne di lamiere arroventate e variopinte ai caselli e agli imbarchi dei traghetti, canottiere, termos di caffè, code nelle aree di servizio, sudore. Bimbi e cani affacciati ai finestrini, la nonna che li vuole chiusi, il pater familias che ce la butterebbe (dal finestrino). Il tutto sotto un’immane calura. Tovaglioli di carta sulle sterpaglie si agitano accomiatandosi da ogni auto che passa. Guardo le targhe, calcolo le ore. C’erano ancora quelle con l’indicazione della provincia. C’era chi suonava il clacson, per salutare quel semplice simbolo di provenienza con un motto di solidarietà campanilistica. I tedeschi, che alle tre del pomeriggio sono ancora a Caserta, dovranno guidare tutta la notte (chi si ferma è perduto). Ma siamo tutti compagni di viaggio e con qualcuno è proprio così, ci si sorpassa, ci si ritrova e, infine, saluta senza scambiare una parola, come pesci dentro acquari viaggianti. Quelli li ho visti anche all’andata.

Il rientro infine è a casa; per le scale ogni piano ha il suo odore. È l’odore delle famiglie che vi si affacciano, filtra dalle fessure, si mescola, staziona e impregna gli zerbini e le pareti. Grazie a Dio la porta non è stata forzata. Si rientra in una penombra liquida, qualcuno già solleva una serranda, chissà se le piante si sono salvate. Per fortuna è secco solo il colpo dell’interruttore generale. Riparte il contatore ed il consumo dei giorni che ci separano dalla prossima partenza.

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