LA PAROLA

Sigaraia

Le sigaraie,  operaie delle manifatture tabacchi  specializzate nella fabbricazione di sigari, furono tra le prime donne ad entrare a pieno titolo nel mondo del lavoro, quando ancora parità economica e  diritti sindacali era parole sconosciute. Infatti fu proprio  in questo settore della lavorazione tabacchi che si assistette a partire dalla metà del XIX secolo  ad un incessante incremento della manodopera femminile. Il lavoro della sigaraia  consisteva (ma è meglio dire consiste dato che i sigari più prestigiosi vengono ancora fatti a mano, in Italia e all’estero) per prima cosa nello scartare le foglie peggiori del tabacco per poi  separare,  in base all’esperienza ed abilità acquisita  le foglie destinate a costituire il ripieno del sigaro da quelle destinate a  costituirne l’involucro.

Oggi le ricordiamo anche perché le loro lotte divennero in passato  una bandiera per le rivendicazioni dell’otto marzo, quando entravano in fabbrica giovanissime, con orari di lavoro a cottimo estenuanti, e venivano pagate in proporzione ai sigari confezionali, e per quelle che non rispettavano i tempi era inevitabile il licenziamento. La cattiva qualità del materiale distribuito nelle manifatture rallentava forzatamente la produzione, provocando una riduzione dei già scarsi salari. Per questo tra le rivendicazioni delle sigaraie non c’era solo l’aumento dei salari ma anche la fornitura di foglie migliori e proprio il progressivo peggioramento della materia prima fu causa alla fine dell’Ottocento di una serie ripetuta di scioperi ed agitazioni in tutte le manifatture d’Italia.

Terminato il lavoro le operaie dovevano, in file ordinate, attendere di essere sottoposte alla cosiddetta “fruga”, che altro non era che una perquisizione in piena regola – eseguita il più delle volte da maschi e perciò sottoposta a possibili abusi –  allo scopo di accertare eventuali furti di tabacco. Alla fine di impedire che anche un solo grammo di trinciato di proprietà dello Stato uscisse illegalmente dalle manifatture e prendesse la via del contrabbando, gli stabilimenti erano spesso circondati da doppie mura o recinzioni in modo che anche gettando dalle finestre il prezioso prodotto nessuno potesse recuperarlo illegalmente e, laddove ciò fosse impossibile, i vetri delle finestre restavano sempre ben sigillati il che – è facile capirlo – costringeva le sigaraie a lavorare in condizioni ancor più disumane.

Il pesante sfruttamento a cui erano sottoposte, le dure condizioni in cui erano costrette a lavorare, subendo i soprusi di dirigenti maschi che operavano come guardiani all’interno di un carcere, furono tra le ragioni di una  combattività che nella fantasia di poeti e scrittori è diventata scarsa docilità, tendenza all’insubordinazione e al ribellismo, turbolenza, trasformandole in donne assolutamente speciali.