LA PAROLA

Sospetto

A torto o a ragione, il sospetto è parte integrante del nostro sentire. Di questi tempi, forse, più che mai. Tante sono le circostanze (e le persone) che destano in noi sospetto, timore, diffidenza. Per il modo di fare, di essere, di presentarsi. Ci sono luoghi sospetti, merce ugualmente di dubbia provenienza, rubata o di contrabbando, sintomi o segnali sospetti di cui ci si preoccupa molto, ad esempio legati a qualche grave malattia. Si sentono rumori sospetti. La polizia fa retate di persone sospette.

Di citazioni celebri è pieno il web. «Dove men si sa, più si sospetta» (Niccolò Machiavelli). «La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera della calunnia» (Giovanni Falcone). «È bene sospettare di tutti, finché non si riesce a dimostrare che sono innocenti» (Agatha Christie).

Sospetto, dal latino suspicĕre, è quindi incertezza, diffidenza verso persone o cose, specialmente dovuta a supposizione indiziaria di colpa, reato o comunque responsabilità morale. Può essere, ovviamente, fondato o infondato. È il timore, l’ansia di presunti pericoli, disgrazie o altre conseguenze nocive.

Da Il sospetto di Friedrich Dürrenmatt all’omologo film (uno dei tanti con titoli analoghi) di Alfred Hitchcock con Cary Grant, del 1941, letteratura e cinematografia “vivono” di sospetti, sospettati e sospettabili. A chi è della generazione degli “anta” la memoria corre però a I soliti sospetti, straordinario film con Kevin Spacey (all’apice del successo, prima della recente caduta in disgrazia), indiscutibilmente uno dei più grandi cattivi del noir contemporaneo (Seven), dove l’attore interpreta il misterioso Kaiser Soze, il demonio in persona. Insospettabile e… colpevolissimo!

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