LA PAROLA

Tocadina (Zo e man da Cuba!)

Capita ancora (più che mai attuale, del resto, da quando è esploso il caso Weinstein e si è diffuso il movimento #Me Too) che su qualche cartello, durante una manifestazione – quando l’evento si verifichi a Venezia – si legga lo slogan Zo e man da Cuba! Il significato, ormai ignoto ai più, accettato talvolta come democratica deviazione di percorso (anche se rimarrebbe da chiarire a chi sia rivolto con precisione) ha invece, almeno in laguna, un nesso coerente con il movimento femminista, le molestie perpetrate ai danni delle donne e una sana opposizione alla tocadina, appunto.

Lo dicevano gli anziani, perché Zo e man da Cuba!, dalla fine dell’Ottocento in poi, significa la ferma ingiunzione di togliere letteralmente le mani dal sedere, o da ogni altra parte significativa del corpo femminile. Si tratta di una variazione del più comune Zo e man dal banco!, che vuol dire non esercitare alcun tipo di appropriazione indebita, né materiale né morale. In pratica, non ti occupare dell’altrui, come direbbe un buon mercante che non voglia farsi rapinare dal banco stesso di vendita al mercato. E Cuba? Cuba, è questione di donne: suscitatrice di risse, pestaggi, omicidi. Nella migliore delle ipotesi, roba da lasciarci sinque dei sul muso, le cinque dita di un bel ceffone.

Tuttavia, dato che a Venezia le sfumature contano, c’è qualcosa di più sottile rispetto alla vigorosa invettiva, alla minaccia; perché Cuba, la storia cubana, c’entrano eccome. Il traslato dalla vicenda storica alla femmina è variamente interpretabile, ma la radice possiede uno spirito libertario che non stona affatto ai giorni nostri. Il modo di dire ha un’origine politica, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, e si riferisce al conflitto fra  Stati Uniti e Spagna. L’isola di Cuba, prima del 1895 colonia spagnola, si era in quell’anno ribellata al governo di Madrid, chiedendo l’indipendenza. La Spagna si oppose e le rivendicazioni cubane sfociarono in un conflitto lungo e doloroso, tanto che tre anni dopo gli Stati Uniti intervennero per difendere l’autodeterminazione dell’isola. Ne uscì sconfitta la Spagna che perse, oltre a Cuba, anche Portorico, le Filippine e l’isola di Guam. La notizia venne riportata dai giornali e Cuba – gloriosa, felice e, soprattutto, liberata – cominciò ad entrare nell’immaginario collettivo (laddove, in precedenza, per gente scarsamente cosmopolita quali erano i veneziani del post-Repubblica, era certo considerata luogo troppo lontano e selvaggio).

Dicono che l’idea venne prima alle donne: le tose di Milesi, impiraresseparone, le veneziane da sempre più autonome, pragmatiche e disincantate. Col tempo Zo e man da Cuba!, non ancora un simbolo di rivendicazione femminista, ma certo uno spunto di libertà, cominciarono a dirlo anche gli uomini, forse per abitudine o per imitazione (continuando a preferire, sotto sotto, i sinque dei di provata memoria). Il fatto che il richiamo appaia ancora, in manifestazione, è comunque un bel segno di resistenza, orgogliosa e vitale.

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