LA PAROLA

Buonismo

Buonismo, ha più di vent’anni eppure non li dimostra. È che ha cominciato in sordina, piano piano, e solo in questo ultimo periodo ha conquistato le luci della ribalta, diventando una specie di insulto. Le prime notizie di questa parola, che da derivato della parola “buono” – categoria morale di solito apprezzata dai più – è diventata sinonimo di lassismo ipocrita, risalgono addirittura ai primi anni ’90 del secolo scorso, tanto per chiudere ancora più in bellezza un secolo in cui l’essere umano ne ha combinate di tutti i colori. Quasi non ci si crede, quanta strada può fare l’intolleranza anche nel lessico.

La Treccani ci dice che buonismo, sostantivo maschile derivato di buono, significa «ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso gli avversari, o nei riguardi di un avversario, specialmente da parte di un uomo politico; è termine di recente introduzione ma di larga diffusione nel linguaggio giornalistico, per lo più con riferimento a determinati personaggi della vita politica».  Buonismo è attestato in prima istanza in un articolo di Maria Latella sul Corriere della Sera nel 1993, riferito ad Adornato; più famoso l’articolo di Ernesto Galli della Loggia, che lo usa in riferimento a Romano Prodi. Geremicca invece lo affibbia a Veltroni, e aggiunge che nel suo “buonismo” è disarmante: il termine, fin qui, veniva spesso usato fra virgolette. Adesso invece si usa a piene mani e non è più appannaggio dei leghisti, che peraltro lo hanno ereditato da quelli del Pdl.

Se però volete davvero spaventarvi, allora provate a digitare «cosa vogliono i buonisti» nella stringa di un motore di ricerca e date un rapido sguardo all’elenco dei contenuti, potete rendervi conto di come questa parola sia contornata, ormai, dai più turpi epiteti del globo, perché i buonisti pare che vogliano, soprattutto, l’invasione dell’italico suolo. Potete anche vedere quanto spiccio, crasso e di bassa lega sia il dibattito dei leoni da tastiera e dell’immiserita politica di questo paese, che invece di evolvere torna alle piccole sicurezze di un tempo, quando si dice che i treni arrivassero in orario, e caro lei, quando c’era lui.

I buonisti comuni, invece, sono quelli che pensano che nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ci siano scritte cose molto ma molto sensate. E chi è il contrario del buonista, il cattivista? Macché, siccome bene che vada il buonista è proprio un cretino che vive nell’irrealtà, il suo contrario è il realista, che sa bene come va il mondo, e prevede che saremo travolti dal barbaro invasor quanto prima se non costruiremo muri e muri invalicabili, con tanto di fossato con i coccodrilli e filo spinato.

Il poeta uruguaiano Mario Benedetti, figlio di immigrati italiani, scrive «che chi semina muri non raccoglie niente, / che sarebbe meglio costruire ponti, che su di essi si va all’altro lato e si torna anche». Davvero versi da immigrato, avrebbero dovuto aiutarli a casa loro, lui e i suoi. Il buonista quindi prima di tutto è doddo, ma come se non bastasse c’è del marcio in Danimarca, come direbbe Shakespeare: è pure ipocrita, vuol fare bella figura sulla pelle dei poveri cittadini denaturati dall’invasione. Un tempo l’invasore arrivava numeroso con la mazza e faceva molte vittime sul suo cammino, veniva da nord oppure dal mare, si mescolava quasi subito, a forza. Se lo chiamavi scimmia, ti colpiva con la mazza. Così tutti quei siciliani biondi, o quei ricciuti discendenti dell’ultimo lembo d’Africa, son venuti fuori a furia di mescolamenti, incroci, i loro antenati hanno portato parole, saperi, mestieri, numeri, arti. E si, pure parecchie mazzate. Del resto è normale che un popolo che ha colonizzato mezzo mondo, con le legioni romane prima e con l’emigrazione a paesi interi poi, ora che siamo tutti “civili”, non ne voglia proprio sapere di mescolarsi.

Dice Giacomo Papi che la parola buonismo non va abolita, ma rivendicata; e che «l’antecedente storico e linguistico diretto, quasi letterale, è il termine «pietismo», utilizzato dopo il 1938 contro chi spendesse qualche parola in favore degli ebrei vessati dalle leggi razziali».

Giovanni Maria Bellu scriveva, il 27 gennaio 2008: «’Ogni tempo ha il suo fascismo’, diceva Primo Levi, avvertendo che i nuovi fascismi si diffondono ‘in modi sottili’. ‘Basta col buonismo’ è il nuovo manganello col quale si menano i richiami alle norme costituzionali e anche all’umana pietà. È, in fondo, la sostituzione del ‘me ne frego’ (dichiarazione che almeno richiamava la propria responsabilità personale) col ‘perché non te ne freghi, babbeo?’ È il nuovo olio di ricino dello squadrismo mediatico shakerato con un po’ di analfabetismo civile. È il momento – prima che l’accusa di ‘buonismo’ si estenda a chi conduce gli interrogatori senza applicare gli elettrodi ai testicoli del teste – di ricondurre l’aggettivo all’originario ambito definito dallo Zingarelli e rispondere per le rime a chi associa il ‘buonismo’ alla semplice rivendicazione dei diritti fondamentali». Son passati nove anni e gli elettrodi non sono più così lontani.