LA PAROLA

Nottetempo

Nottetempo si scrive tutto attaccato ma non da sempre: come nell’antenato latino noctis tempore, notte e tempo stavano accanto senza darsi il braccio. La consueta Treccani dice che è una locuzione avverbiale e che vuol dire “di notte, durante la notte”. Il termine è attestato dal XIII secolo, ma non c’è dubbio che i nottambuli – quelli che che fanno le cose della loro vita nottetempo – siano sempre esistiti.

C’è chi nottetempo viene strappato al sonno dal fastidioso suono della sveglia e deve andare a lavorare, e chi nottetempo va a ballare, con la precisa intenzione di fare le ore piccole; c’è chi aspetta la notte per fare quel che il giorno gli nega per un motivo o per l’altro, e chi lavora solo nottetempo, circondato dal silenzio: ad esempio i poeti, come scrive Alda Merini:

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere iddio
ma i poeti nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.

C’è chi si alza alle quattro – e anche se si dice “di mattina”, in realtà è notte fonda – per mettersi a scrivere per cinque o sei ore di fila, come Haruki Murakami, e chi dipinge tutta la notte, come faceva Jackson Pollock. Anche Kafka scriveva nottetempo, e la mattina andava a lavorare, mentre per dormire aveva il pomeriggio.

Nei romanzi della saga di Harry Potter il Nottetempo è un mezzo di trasporto un po’ particolare: scorrazza per l’Inghilterra maghi e streghe, per chiamarlo bisogna puntare la bacchetta magica sulla strada.